“CASO NARDUCCI – MOSTRO DI FIRENZE” : E IL PARADOSSO SUPERA I LIMITI DELLA TOLLERANZA, E SI TARSFORMA NELL’AUTOGOL CHE PRECEDE INEQUIVOCABILMENTE LA VITTORIA DELLA PUBBLICA ACCUSA….
QUESTI I PERSONAGGI…
POI IL COLPO DI SCENA: PRESUNTE VITTIME E PRESUNTO ASSASSINO VOGLIONO LA STESSA PRESUNTA VERITA’, QUELLA LORO, NON CERTO QUELLA DELLA GIUSTIZIA!
A CHI FA PAURA “L’INSUFFICIENZA DI PROVE”?....
Ma il Dottor Mignini è ormai fin troppo allenato, e Spezi stia pur tranquillo che potrà sfogare il proprio livore all’infinito, potrà profferire offese, volgarità, minacce, a lui tutto sarà consentito, in termini di libertà di stampa e di libertà di parola.
Il PM Mignini non querelerà l’eccellente imputato, anche se non è detto che non vi siano diverse Autorità Giudiziarie, che potrebbero agire nel caso se ne presentasse l’occasione.
Ma non sarà Mignini, perché questo Magistrato in nome della Giustizia non si lascerà sfuggire di mano, un personaggio tanto famoso da aver catturato perfino l’interesse del cinema hollywoodiano…sempre che Tom Cruise, non decida di prendere le distanze e rinviare a data da destinare il troppo pericoloso progetto di portare sul grande schermo il “Mostro di Firenze”…
Troppe grane per le logiche degli americani e soprattutto per chi potrebbe essere censurato dalla severa “setta” di Scientology, che considera il bell’attore una star di tutto rispetto.
Ma cerchiamo di capire quale era la materia del contendere in questa udienza a dir poco “sonora”, sull’onda delle percussioni tribali sostituite per l’occasione da pugni sui banchi di fronte alla Giudice Marina De Robertis, che esausta ha rinviato l’incontro sul ring al 17 novembre prossimo.
Perché mai gli animi si sono tanto scaldati?
Dobbiamo ricordare che quando il Pm aprì il fascicolo per l’omicidio di Francesco Narducci, in un primo momento contro ignoti, successivamente a carico di Mario Spezi più altri, si è trovato nella circostanza di essere in procinto della scadenza dei termini, che avrebbe portato ad una archiviazione d’ufficio, mentre ancora le prove necessarie per andare ad un dibattimento non erano all’epoca sufficienti.
E dunque, poiché il reato di omicidio non va mai in prescrizione, il Dottor Mignini valutò intelligentemente, di precedere la scadenza dei termini e di chiedere egli stesso l’archiviazione del procedimento, motivando la sua richiesta , appunto, per insufficienza di prove.
In tal modo seppure archiviato, quel fascicolo avrebbe potuto sempre essere riaperto, nel caso che si fossero aggiunti nuovi elementi tali da rendere le prove sufficienti e meritevoli di essere dibattute in un Processo.
Per gli indagati una soluzione del genere sarebbe come vivere col fiato sospeso, e magari svegliarsi una mattina e leggere sui quotidiani che “la Carlizzi si è presentata al Magistrato e ha prodotto quanto ha preferito in precedenza non produrre, al fine di non rischiare che il frutto delle proprie ricerche si perdesse tra la mole di materiale forzatamente “acquisito” in corso della perquisizione disposta dagli inquirenti di Firenze a carico del collega perugino e nei luoghi di sua pertinenza”.
E “la Carlizzi” ancora oggi si congratula con se stessa, per aver posto in salvo, materiale tanto importante che sarà meglio, a questo punto, produrre direttamente nel corso di un’udienza, quando i riflettori dei mass madia internazionali immortaleranno ciò che nessun potere occulto potrà più vanificare.
Se poi, le circostanze procedurali, esigessero che io produca anzitempo, al Pubblico Ministero quanto è al sicuro e in mio possesso, il Magistrato sa che io resto comunque a disposizione della Giustizia.
Inoltre alla luce di taluni comportamenti, penso che chi di dovere tema per la mia stessa incolumità, ed anche per quella del Dottor Giuttari, e dunque non possiamo escludere che sia disposto un altro incidente probatorio che mi consenta di assicurare alla Giustizia, quanto avrà valore di prova in un eventuale dibattimento, qualora per quel tempo io sia stata uccisa.
Se parlo apertamente è perché ormai salta agli occhi di tutti la pericolosità sociale di chi pensa di sfidare con provocazioni senza precedenti, lo Stato nei suoi rappresentanti, comportamento tipico di chi è consapevole di non aver più nulla da perdere, o di poter contare impunemente sull’antistato criminale, o del tutto inconsapevole è egli stesso vittima della propria follia.
In altri tempi, per soggetti di questo tipo sarebbe stata disposta una perizia psichiatrica, nell’interesse della persona stessa e di quanti da troppo tempo ormai subiscono pubbliche offese e finanche provocazioni per uno scontro fisico, (“Vieni fuori, che io sono capace anche a menare…”), al punto che nonostante fatti incresciosi e tutti documentati con relative registrazioni, si siano verificati in presenza di Autorità Amministrative e Politiche del territorio in cui avvenivano, gli stessi “addetti ai lavori” hanno ammesso di essere spaventati nonché meravigliati che episodi di inaudita gravità passassero per così dire “in sordina”.
Ora però, dall’udienza del 10 ottobre scorso, il problema è emerso in tutta la sua gravità, e personalmente sono certa che non potrà essere più ignorato, anche in considerazione dell’udienza preliminare fissata per il 12 dicembre davanti al GUP Dottor Micheli, il quale oltre che essere un uomo, non permetterebbe mai che offese a toghe e divise vengano profferite in un’Aula di Giustizia.
Senza nulla togliere, in questa mia considerazione alla Giudice Marina De Robertis che ha presieduto l’udienza del 10 ottobre, ma quando si leggerà sulla mia Trilogia, lo sbobinamento delle registrazioni di alcune conferenze, nel corso delle quali questa Giudice integerrima è stata definita nel peggiore modo che si possa offendere una donna, allora si comprenderà anche la prudenza che la stessa attua in situazioni esplosive come quella in cui è venuta a trovarsi.
C’è anche da considerare che la Giudice De Robertis viene da una cultura là dove non si è abituati a scontri violenti da parte di imputati che trovano il coraggio di offendere gli inquirenti in un’Aula di Giustizia, e quand’anche tali eventi si verificano, ancora oggi, l’amministrazione giudiziaria del sud-Italia, non esita ad espellere dall’aula chi si rende responsabile di taluni comportamenti.
A volte anche a Firenze si è ricorsi a certi provvedimenti.
Anzi ricordo che ero io stessa nell’Aula dove si celebrava il processo a carico del compagni di merenda, quando Vanni iniziò a profferire offese di ogni genere contro il PM Dottor Canessa, e questi, ad un certo punto, non potendone più, chiese al Presidente l’allontanamento del “Torsolo” di San Casciano Val di Pesa, e il Giudice non esitò un istante, tanta era la vergogna di un simile comportamento.
Certe volte sembra di ricordare i tempi delle Brigate Rosse, quando dalle gabbie, i brigatisti lanciavano i loro anatemi, o anche i tempi dei maxi-processi di Mafia, allorchè Totò Riiina sbatteva in faccia ai Giudici il proprio potere per nulla scalfito dalla detenzione.
Lui comunque anche da dietro le sbarre, rimaneva il vertice della organizzazione criminale e riusciva a tenere il controllo di tutto e tutti grazie ai difetti dell’amministrazione penitenziaria del tutto inadeguata per la sofisticazione del crimine stesso.
Nel caso di Perugia, la situazione è a mio avviso più allarmante, e forse richiede davvero che si verifichi in ambiente sanitario se taluni comportamenti siano la conseguenza di pregressi stati patologici o di dipendenza , o vadano classificati nell’ambito delle reiterazione tipica della delinquenza abituale.
In ambedue i casi, dovrà essere valutato il grado di pericolosità sociale per i provvedimenti utili alla salvaguardia della incolumità di tutti.
L’udienza del 10 ottobre ha comunque messo in evidenza molti altri aspetti che meritano un approfondimento anche da un punto di vista giornalistico.
Soffermiamoci dunque sull’opposizione che la famiglia di Narducci ha presentato contro la richiesta di archiviazione del fascicolo a carico di Mario Spezi più altri, indagati quali presunti autori dell’omicidio di Francesco Narducci.
La famiglia del medico, chiede che si giunga ad una verità sostanziale, ma non “qualunque essa sia” come hanno scritto alcuni giornali, la famiglia non chiede in tale opposizione che la Giustizia faccia il proprio corso serenamente, bensì dice che poiché l’unica verità è quella che il Narducci morì per disgrazia o per suicidio, pretende che a mettere una firma preventiva su tale loro convinzione sia addirittura la Pubblica Accusa che, in definitiva dovrebbe modificare la motivazione della richiesta di archiviazione.
Vale a dire, in parole semplici, che l’insufficienza di prove dovrebbe trasformasi in una totale insussistenza dei fatti contestati.
E il fine è chiaro, nel senso che una motivazione del genere annullerebbe qualunque collegamento tra la morte del medico perugino e i duplici delitti di Firenze.
Mi chiedo: “Se io fossi il genitore di un figlio sulla cui morte fin dal primo momento sono stati avanzati sospetti pesanti come macigni, il fatto stesso che da parte degli inquirenti si sia giunti alla richiesta di archiviazione per insufficienza di prove, a carico però di persone ben note, e già imputate per reati connessi nel processo che dovrà chiarire proprio tutto ciò che si svolse intorno alla morte del gastroenterologo, io genitore semmai collaborerei con la Giustizia, e forse ciò che al momento è stato ritenuto insufficiente, potrebbe fortificarsi.
Insomma, se un Magistrato sospetta che “Tizio e Caio” abbiano ammazzato mio figlio, io mi metto dalla parte del Magistrato, e semmai faccio di tutto per aiutarlo a recuperare quanto basterà a giustificare un dibattimento.
E se poi, in sede processuale, dovesse emergere che mio figlio fu ucciso perché in qualche modo collegato con quanto è attribuito al cosiddetto “Mostro di Firenze”, è pur vero che io sono e resterò sempre davanti alla Giustizia e alla opinione pubblica il genitore di una vittima e in quanto tale non colpevole, e non punibile.
E siamo certi che la tra i familiari di Narducci non vi sia qualcuno che magari si frequentava e conosceva qualche familiare degli indagati come presunti autori dell’uccisione del “dottore che veniva da fuori”, come lo indicava Giancarlo Lotti?
Possiamo davvero escludere che due mamme, non si siano mai incontrate, magari lungo lo stesso percorso , ai tempi in cui assolvevano a determinate mansioni?
Il destino a volte è crudele, e seppure può apparire fantasiosa l’ipotesi che la madre del presunto assassino sia stata amica della madre della presunta vittima, tuttavia resta pur sempre un’ipotesi da non scartare.
E di qui, sarebbe verosimile affermare che anche i due rispettivi figli si conoscessero e si frequentassero.
E allora, l’opposizione della famiglia Narducci, è forse strumentale ad evitare che ciò che oggi è insufficiente diventi invece, da un momento all’atro più che sufficiente per chiedere il rinvio a giudizio per “Tizio e Caio”?
Oppure dobbiamo sospettare che anche nell’eventualità che “Tizio e Caio”vadano alla sbarra per l’omicidio Narducci, già si conosca la sentenza, magari anticipata da qualche “veggente” cui sembra che i familiari stessi della vittima si rivolsero quando scomparve quell’8 ottore del 1985?
A mio parere, sempre pronta a riconoscere di aver sbagliato, l’iniziativa processuale della famiglia Narducci, potrebbe aver indotto nella Magistratura dubbi ancor più gravi, nel momento stesso che la loro opposizione alla richiesta di archiviazione, paradossalmente difende chi è sospettato di aver ucciso il loro figlio, oltre che lasciare la sgradevole sensazione di avere qualche interesse personale, atteso che, seppure in questo procedimento la famiglia Narducci è parte offesa, nel procedimento principale sono invece imputati per reati associativi e molto gravi.
Almeno, vista dall’esterno, questa mossa dei Narducci, innesca più dubbi di quanti non ve ne siano sulla morte del gastroenterologo, e davvero potrebbe rivelarsi un boomerang….
Analizziamo ora la posizione assunta dagli indagati, nemmeno loro soddisfatti che l’archiviazione del procedimento relativo ai reati loro ascritti, sia stata motivata dalla “insufficienza di prove”.
Anche loro sanno bene che da quando i rapporti tra la Procura di Firenze e quella di Perugia si sono rotti, qualcuno ha provveduto a mettere al sicuro ulteriori prove a loro carico, senza più depositarle agli atti del Pubblico Ministero, riservandosi di produrle in tempi più sereni.
Dunque, perché invece di accendere una candela alla Madonna di Fatima, si pretende che venga modificata la motivazione della richiesta di archiviazione?
E’ la solita strategia cui si ricorre per convincere Magistrati e Giudici che non si ha nulla di che temere?
Oppure, anche in questo caso, si “sfida” la Giustizia, pretendendo un dibattimento di cui già si conosce l’esito più che favorevole, grazie alla “soffiata” della “Sibilla Cumana”?
E perché allora ci si arrabbia tanto, al punto da far crescere il cumulo dei reati ascritti di cui già si è chiamati a rispondere?
Se io mi sentissi davvero perseguitata ingiustamente, in ordine a una richiesta di archiviazione, che al di là della motivazione, va a mio favore, alleggerendomi il peso dei carichi pendenti, semmai mi opporrei alla opposizione della famiglia Narducci, non certo alla fortuna di un procedimento a mio carico di cui il mio “persecutore” ha chiesto l’archiviazione.
Non vi pare?
E allora, anche immedesimandosi negli indagati per l’omicidio Narducci, la strategia processuale scelta, non fa altro che indurre nuovi ed inediti sospetti, come se gli interessi dei presunti colpevoli e gli interessi delle presunte parti offese, andassero a braccetto in un’unica misteriosa direzione.
La prudenza, oltre che il decoro, consiglierebbero almeno all’apparenza di assumere posizioni opposte, se solo ci si rendesse conto che in questa intricata e maleodorante storia, almeno le stelle stanno a guardare….ma non solo le stelle, credetemi…..
Domenica 12 Ottobre 2008
Gabriella Pasquali Carlizzi
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