Già, proprio così, anche se non è cosa di poco conto stabilire con certezza se il cadavere ripescato il 13 ottobre del 1985 fosse quello di Francesco Narducci, come sostengono alcuni familiari, oppure fosse di un altro poveretto, come sostiene la Pubblica Accusa, altri familiari, e come in verità è convinta la sottoscritta.
Le opinioni personali tuttavia non costituiscono prova, in un giudizio occorrono elementi concreti e scientificamente validi, specialmente se il fatto in se stesso potrebbe costituire la chiave di volta di un mistero che dura da ben quarant’anni.
Infatti, se si dimostrasse che nel 1985 avvenne uno scambio di cadaveri nell’ambito di un unico disegno criminoso, non ci si potrebbe esimere dal ricercare nei responsabili il movente di un simile agire.
E poiché il caso giudiziario fu riaperto sulla base di sospetti circa eventuali collegamenti tra Narducci e i delitti attribuiti al Mostro di Firenze, ecco che lo scrupolo di chi deve decidere se aprire un processo oppure archiviare, è più che giustificato.
Un processo, a dire il vero, sembra lo si stia già celebrando, parlando da profani, nel senso che già per molti mesi sono stati ascoltati testimoni nell’ambito di un complesso incidente probatorio, e da mesi e non se ne vede ancora la fine, è in corso l’Udienza Preliminare per la eventuale disposizione del rinvio a giudizio di 22 imputati o parte di essi.
L’abbiamo già rilevato , ma ci piace rimarcare il fatto un po’ inconsueto circa l’ascolto in questa fase dei periti nominati dalle parti in causa, i quali nella maggioranza dei casi si confrontano durante il dibattimento.
E l’esigenza del Giudice induce anche a dubitare circa una carenza di prove testimoniali, specialmente quelle rese nell’incidente probatorio davanti al Giudice De Robertis, testimonianze che forse non sono state sufficienti a far scattare la molla di un sereno, “Questo processo s’ha da fare!”. Siamo nel campo delle semplici ipotesi…
Cos’è che non avrebbe convinto il Giudice, al punto da voler ascoltare egli stesso i periti?
Diciamo pure che fin dal 2001 in questa inchiesta sono apparse molte “contraddizioni”, alcune difficili da interpretare, e tali da dare una sensazione di incertezza, sensazioni che nel tempo hanno provocato scuole di pensiero diverse, se non diametralmente opposte.
Dovremmo ripercorrere le tante tappe che hanno riempito le prime pagine dei giornali, e allora ci si accorgerebbe che da testimoni si è diventati imputati, da imputati a testimoni, da parti offese ad indagati, mentre restano a tutt’oggi, agli occhi della pubblica opinione, tanti sospetti che avrebbero potuto essere forse fugati, in un clima di maggiore serenità.
Non sono mancati gli ostacoli, è vero, ma prima di decidere di mandare alla sbarra tante persone nel fine ultimo di chiarire qualcosa di assai più grave della morte del medico, sia stata essa procurata o conseguenza di una disgrazia, fa bene il Giudice a volerci vedere chiaro.
Le liti tra inquirenti, forze di polizia, uomini prima coordinati in un’unica ricerca della verità, oggi gli uni di fronte agli altri, imputati e giudici, non possono che indurre ad una coscienziosa riflessione e verifica circa l’eventuale esistenza di personalismi, di pregiudizi, di tutto ciò che in una inchiesta giudiziaria non dovrebbe mai verificarsi.
Un aspetto particolare è poi quello relativo al ruolo di molti giornalisti, come la sottoscritta, divenuti in varie fasi testimoni fondamentali, e allo stesso tempo intercettati, poi indagati, il tutto in un quadro a dir poco confuso, ma sicuramente meritevole di un chiarimento da parte di chi è preposto a far si che coloro che rappresentano la giustizia non cadano in errori tanto gravi da recare danno alla giustizia stessa, oltre che di volta in volta a chi ne rimane vittima a livello personale.
Da molto tempo sto riflettendo su questi aspetti apparentemente insignificanti nell’ambito di una inchiesta che vede argomenti di storica importanza, tuttavia, da quando ho esposto in un articolata ricostruzione una serie di eventi a mio avviso “paradossali”, mi sono resa conto che proprio nelle pieghe di queste circostanze si nascondono le fragilità di verità che si vogliono dimostrare.
Ripeto, e ne sono stata protagonista, la mia convinzione è che Francesco Narducci sia stata l’ultima vittima del Mostro di Firenze, e pertanto che la sua morte e quanto organizzato per l’occultamento del cadavere e il contestuale scambio con altro cadavere siano fatti riconducibili ai delitti delle coppiette.
E sosterrò a vita questa tesi, scriverò altri libri, coinvolgerò altri apparati, ma formalmente questa “verità” deve essere dimostrata nella sua sede naturale.
Ne consegue che l’intero andamento dell’inchiesta in corso, dovrebbe godere di stima, ineccepibilità, ampia credibilità, insomma ci si dovrebbe presentare al mondo intero con un biglietto da visita di tutto rispetto.
Se così non fosse, qualunque verità rischierebbe di perdere di consistenza, di oggettività, a causa di di comportamenti discutibili da parte di coloro che pur la perseguono.
Gli americani ce ne stanno dando ampia prova, nel caso Meredith Kercher, quando gridano dalle pagine dei giornali internazionali l’innocenza di Amanda!
E tentano in modo più che scorretto di fare intendere: “Amanda è innocente, perché il Pm è imputato egli stesso..”.
Ora, proviamo ad immaginare, nell’ipotesi che il Giudice Micheli disponga il rinvio a giudizio, quali carte giocherebbero nel dibattimento le difese degli imputati.
Ebbene, seppure sul piano della sostanza a mio avviso ne hanno poche, su piano della forma ve ne sarebbero fin troppe, e tutte capaci di porre in evidenza “contraddizioni” gravissime.
D’altra parte, in coscienza, come si fa a non mettere in condizioni di difendersi persone che se condannate resterebbero marchiate a vita?
E se è vero che si cerca una verità tanto complessa, è pur vero che questa verità non la si può privare di una parte solo perché la distribuzione dei ruoli processuali pone alcuni sul banco degli imputati, altri ben comodi come parti lese, e tanti altri… tanti altri… già… tanti altri?
In questo periodo ho dovuto far sbobinare le centinaia di registrazioni che custodisco da anni presso un notaio, e ne ho fatto copia perché fossero prese in considerazione al fine di comprendere cosa vi fosse dietro taluni comportamenti.
E’ evidente che queste registrazioni sono state nel tempo tutte da me prodotte all’A.G., come da verbali di ricezione.
Bene, chi le ha ascoltate, e parlo di persone autorevolissime, si sono messi le mani nei capelli.
Le reazioni sono state tutte del tipo:
“Ma signora Carlizzi, questa “tizia” col nome che porta, e che le ha detto tutte queste cose, è stata indagata?...
E questo personaggio che per mesi e mesi ha parlato con lei al telefono, oggi sarebbe a suo carico parte offesa?
E questo è poi diventato il professionista più importante…?
E’ sicura che l’indagata sia lei, o è un suo pensiero?...
Sa, questi fatti appaiono molto gravi e poi .. poi…
Ma scusi, lei avrebbe affermato in una trasmissione televisiva ciò che le era stato riferito da una autorevole persona, e lei provvide a registrare tutto e a consegnare copia delle registrazioni, è così? La trasmissione andò in onda nel 2004, e dunque lei il reato che le si contesta lo avrebbe compiuto in quella data.
E come è possibile che l’avviso di conclusioni delle indagini le sia stato notificato ben cinque anni dopo?
E perché nonostante le registrazioni non si fu chiesta per lei l’archiviazione, il che farebbe pensare che chi le ha dichiarato certe cose non risulti tra gli indagati. …?
Poi, scusi non so se sto leggendo bene oppure no… ci faccia capire, che significa:
“…e turbato così le indagini sul procedimento (n…)… e in particolare l’escussione degli stessi in un incidente probatorio…” ?...
Scusi, ma vorrei che i miei colleghi fossero presenti…
Ecco, signora, lei dunque come parte offesa fu presente alle udienze dell’incidente probatorio, quando depose questo testimone.
Era nel suo pieno e legittimo diritto, dunque.
Ora risponda alle nostre domande.
Era assistita da un avvocato? E Come si svolsero i fatti?...”
Risposta:
“In verità fu fatta una richiesta al Giudice affinchè disponesse per me il divieto di presenziare all’udienza. Naturalmente questa richiesta fu rigettata. E dunque andai.
Non presi mai la parola, e il mio avvocato, come tutti gli altri avvocati, interrogò il testimone.
Tutto qua. Anzi il testimone, dato che eravamo stati molto amici in passato, in aula mi si avvicinò e mi abbracciò.”
“Allora signora, lei ci assicura che in quella udienza non accadde nulla, non fu mai ripresa dal Giudice, tutto si svolse nel rispetto delle regole? “
Risposta:
“Si, assolutamente si.”
“Dobbiamo dedurre qualcosa di molto grave. E d’altra parte ci sarebbe il precedente tentativo di vietarle un suo diritto inviolabile. Ci dica, cosa c’è dietro fatti così …?”
Risposta:
“Non lo so, ma la mia sensazione è che lo stesso magistrato può essere vittima di una regia occulta… personalmente l’ho sempre stimato, ma non spetta a me giudicare”
“Noi però abbiamo il dovere di capire. Piuttosto, immaginiamo che lei si sarà presentata per chiarire ed evitare un rinvio a giudizio?”
Risposta:
“No, non farei un servizio alla Giustizia, io voglio che queste registrazioni e documenti vengano fuori in un processo pubblico. Ho sempre pensato che dietro Mostro di Firenze e il caso Narducci , in quarant’anni di indagini, si siano nascoste “ragioni di Stato”, o meglio di “antistato”, e per questo il mio personale interesse passa in secondo piano…”
Ora, i miei lettori si chiederanno il perché ho raccontato uno dei tanti episodi strani che hanno “arricchito” questa inchiesta.
Semplice.
Per far comprendere che se non si è giunti ad una verità oggettiva dopo tanti anni, il motivo non va addebitato alla magistratura, anche se apparentemente può sembrare giusto, ma la mia convinzione è che gli stessi magistrati, al di là del territorio di competenza, siano inconsapevolmente rimasti vittime di poteri che hanno avuto l’unico scopo di indebolire l’inchiesta mediante eventi che possono indurre dubbi, perplessità e in definitiva provocare una serie di archiviazioni.
Ribadisco il mio pieno rispetto per tutti i magistrati sia di Firenze che di Perugia che si sono occupati e si occupano di un caso tanto complesso, e per questo ritengo giusto che chi di competenza analizzi tante circostanze in una sede diversa da quella prettamente giudiziaria, proprio perché ci si avvii ad un eventuale processo nella massima serenità e senza il rischio di capovolgimenti clamorosi, come quello che vide Pacciani prima condannato a quattordici ergastoli e poi assolto dalla Corte d’Appello.
In soldoni, quanto costò allo Stato Italiano il “processo Pacciani”?
2. Ministro Alfano;
3. Ministro Maroni;
4. Punti interrogativi.
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