giovedì 30 gennaio 2014
AMANDA E RAFFAELE OGGI SONO STATI GIUDICATI
DALLA CORTE D'ASSISE D'APPELLO DI FIRENZE COLPEVOLI
DELL'OMICIDIO DI MEREDITH KERCHER
DALLA CORTE D'ASSISE D'APPELLO DI FIRENZE COLPEVOLI
DELL'OMICIDIO DI MEREDITH KERCHER
di Marcelo Mariani
Con la sentenza c'è stata anche la sorpresa, poiché questo esito non era per nulla scontato. Seppure la Cassazione aveva riformato la sentenza della Corte d'Appello di Perugia rimettendo il processo a Firenze, le prove della colpevolezza dei due giovani, per lo meno nel linguaggio mediatico apparivano assai fragili e gli indizi non così concordanti da determinare limpidamente la certezza che nei giudici avrebbe prevalso la decisione della colpevolezza. Questo nel processo mediatico, delle tv e dei giornali. Ben più difficile addentrarsi invece nei percorsi giuridici che poi costruiscono le ragioni di una sentenza e quindi dell'invio al carcere per un così lungo periodo di due giovani che, appena usciti dai banchi del liceo, avevano oltre sette anni fa affrontato in maniera spensierata come tutti i giovani l'ebbrezza della libertà lontani da casa, in una cittadella degli studi internazionale, dove non ci si perde come in una metropoli, ma ci si incontra di continuo oltre che nelle aule d'università, nei pub, in piazza, nei parchi, nelle case dei compagni di studi e quindi subito si formano amori, amicizie, gruppi e solidarietà. E sogni. Che durano a volte una stagione d'esami, a volte tutta una vita. Come nel caso in questione allorché in questo piccolo crogiolo che è Perugia, nella vicenda sono rimasti coinvolti quattro giovani di quattro Paesi diversi. Ci vorrebbe Shakespeare per ambientare e sviluppare in un gioiello di architettura e civiltà come Perugia, il crescendo di situazioni, di giochi e di suggestioni che hanno portato questi quattro giovani al parossismo dell'incoscienza e in cui uno di loro è rimasto colpito alla gola da un coltello che lo ha svuotato di ogni goccia di sangue e di vita.
Eppure quei giovani, lì, a Via della Pergola, in quel casaletto digradante assieme alla collina, a dire di Gabriella non sono stati gli unici attori sulla scena che da baldoria è finita in tragedia. Certo c'era presente intanto tutta l'umanità contemporanea con il suo corredo di vizi, di permissività, di assenza di freni, quell'umanità che trova molto civile e alla moda la libera circolazione di droga e alcol, fiduciosa nell'autocontrollo che si pretende dagli stessi giovani a cui si forniscono d'altro canto tutti gli strumenti per liberare i freni inibitori. Tutto è permesso, ma solo sino alla soglia del crimine. Dopo ti becchi la galera, o l'ospedale o, nei casi più sfortunati, la tomba. Ma accanto a questa presenza virtuale, sempre Gabriella dice che c'erano invece delle altre presenze e stavolta reali. Insomma delle persone in carne ed ossa. Che ci facevano lì assieme a quei giovani? Semplice, stavano lì a determinare, sfruttando gli ingredienti e le suggestioni di Halloween, un delitto. Con tutta la forza della loro maggiore età e di un progetto criminale che doveva ottenere ancora una volta il coinvolgimento di una città intera nei sensi di colpa per aver alloggiato fra le sue pietre nuovamente il Mostro. Il grande burattinaio che dal 1969, l'anno simbolo dell'emancipazione giovanile, della contestazione, del riscatto dai lacci paternalistici, ha avviato la saga omicidiaria che ha insanguinato Firenze e Perugia e le contrade circostanti, seminando decine e decine di morti, fra coppiette di giovani, comparse e attori che non dovevano vedere o parlare, anche se protagonisti, come il medico perugino Francesco Narducci.
Ma si doveva anche avviare un'operazione parallela, quella mediatica, perché al Mostro assieme al sangue piace il gioco, piace sfottere gli inquirenti facendoli correre di qua e di là, piace provocare campagne di stampa a favore o contro l'accusato di turno. Quello del Mostro, lo ha raccontato molto bene Carmelo Maria Carlizzi nel blog di Paolo Franceschetti, è un treno su cui chi vuole partecipare al gioco vi sale per un viaggio breve ma tutto speciale ed emozionante, su cui si assiste o si partecipa ad una strage, e al cui termine poi, appena il treno si ferma alla stazione di arrivo, partecipanti e spettatori scendono in fretta per recarsi serenamente alle proprie attività professionali confondendosi fra la folla dei viaggiatori in transito.
I nostri due giovani e il terzo con loro, e cioè Rudi Guede, al termine della mattanza sono rimasti intrappolati nella rete, quando è stata tirata su assieme alla vittima designata, a Meredith. La giustizia si è accontentata del quadro che gli inquirenti si sono trovati sotto gli occhi e a portata di mano. Nessuno è voluto andare oltre, a parte Gabriella, che pur ci ha provato in tutti i modi, con articoli, con deposizioni e persino con un libro, "Meredith Kercher, un delitto imperfetto", a spiegare che il Mostro aveva un conto in sospeso per una festa di cui aveva goduto gratuitamente e che non aveva alcuna voglia di pagare, ma che voleva invece far pagare ad altri, ad un'intera città. Questi quattro giovani sono quattro capri espiatori di una società, la nostra, che ha perso il contatto con i propri figli, e il controllo su di loro, se non per mandarli al fronte a combattere una guerra tanto moderna quanto squallida e sanguinosa.
Certo la vicenda, come da copione delle numerose puntate precedenti, non finirà qui. Non lo vogliono Amanda e Raffaele con le loro famiglie e avvocati che storditi dall'accaduto già si preparano a ricorrere in Cassazione. Ma non lo vuole neppure il Mostro per il quale la scena si chiuderà solo quando avrà imbastito la prossima puntata completa di attori, comparse e vittime, e dopo aver scelto il teatro che avrà provveduto a riempire di spettatori paganti.
Descrizione immagini (dall'alto verso il basso)
1. Meredith Kercher
2. La casa dove è avvenuto il delitto a Perugia
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