UNA SENTENZA DI MORTE…
DOVREI BRINDARE?...
Sembra quasi una beffa del destino, se solo penso al tradizionale brindisi di inizio anno nuovo che dovrei fare anch’io…
Forse per ringraziare la signora Morte che sembra essere determinata a venirmi a prendere da un giorno all’altro?
Guardando questa foto scattata in Israele appena quattro mesi fa, quando già il cancro si era ampiamente impossessato del mio corpo, nessuno ci crederebbe, ed anche adesso il mio aspetto fisico non è cambiato…
Chiunque viene a trovarmi, forse pensando di far visita al capezzale di una moribonda, trova una Gabriella apparentemente in ottima forma, e la prima reazione è di stupore, incredulità, tanto che mi sento in dovere di mostrare subito i referti medici che non lasciano spazio ad alcun equivoco.
Due giorni fa ho fatto una Tac Total Body di controllo, e come era prevedibile il mio cancro si evolve secondo i canoni della letteratura.
Sono peggiorata e i medici non capiscono come in aperta contraddizione con gli esami clinici secondo i quali io dovrei essere morta da circa una settimana, appaia invece come la persona più sana di questo mondo, mentre allo stesso tempo raccomando loro di predisporre il necessario per la terapia del dolore prevista per i malati terminali.
Infatti sono convinta che se il mio cancro è riuscito ad insinuarsi senza farsi ancor oggi sentire, in assenza totale di sintomi, è anche possibile che io chiuda gli occhi per sempre da un momento all’altro, senza preavviso.
Per come si evidenzia nella Tac, il tessuto neoplastico potrebbe comprimere maggiormente l’aorta addominale già compromessa e procurarmi una improvvisa emorragia letale….
Ricevo tante mail, ogni giorno, e ringrazio tutti per il conforto che mi date.
Molti mi chiedono di sapere come io stia vivendo questa durissima prova e per incoraggiarmi alcuni mi scrivono: “Gabriella, non mollare… tu sei una donna con le palle…”.
E a questi ultimi vorrei rispondere: “Donna si, ma non offendetemi attribuendomi le “palle”.
Rifletto…
Un tempo definire una donna “con le palle” era un complimento, nel senso che il concetto di un attributo riconducibile all’uomo era, e sottolineo era, un segno di forza, di capacità, di efficienza.
Oggi, almeno questa è la mia esperienza personale, riconoscere queste qualità all’uomo è pressoché impossibile.
E non basta amare, dire alla propria donna “ti amo”, se poi a questo sentimento non si accompagna concretamente il senso di protezione, il sollevare la donna da ogni peso della quotidianità, specie quando si è consapevoli che costei sta lottando contro la morte, una morte già datata…
Ecco, io sto vivendo questo dramma nel dramma, perché anziché pensare solo a me, per una volta nella mia vita, continuo a farmi carico di tanti problemi dai quali avrei desiderato essere esonerata.
Da quando sono malata, nessuno di quanti pure soffrono per me e mi amano sinceramente, nessuno è stato capace di dirmi: “ Da oggi non preoccuparti di niente, provvediamo a tutto noi.. tu cerca di vincere la tua battaglia, quello che per noi conta è la tua vita…”.
Ecco spiegato il senso di solitudine interiore che una donna prova, quando continua a sentire su di sé la responsabilità che tutto vada bene, che ogni adempimento sia osservato, che le tradizioni vengano rispettate e onorate come meritano, perché al contrario, se non è lei a provvedere a tutto, nessun altro lo fa.
E allora vorresti andartene lontano, vorresti combattere la morte e vincere con la vita, ma non ce la fai, quando nello sguardo dei figli, del marito, leggi un amore infinito… un amore tuttavia “senza palle”.
E passo anche i momenti in cui prego Dio di chiamarmi a sé il prima possibile, e devo confessare che a volte sono turbata da qualche brutto pensiero… poi mi passa e penso che sono questi i sintomi del mio cancro che sta minando anche la mia forza di volontà … la mia gioia di vivere.
Io non brinderò di certo al 2010…
Gabriella Pasquali Carlizzi
Ringrazio innanzitutto i tanti tantissimi amici che dopo aver appreso della mia malattia mi inviano ogni giorno mail di sincero affetto e partecipazione.
Infatti, circa due mesi fa, mi è stato diagnosticato un adenocarcinoma infiltrante allo stomaco con la compromissione della milza, del pancreas, del colon e del surrene sinistro.
Nulla da fare se non un gelida sentenza di morte: “ Lei signora potrà avere dai due mesi ai quattro mesi di vita al massimo. “
Non sapevo se stavo vivendo una scena di un film, dato che io non avevo alcun sintomo, anzi mi sentivo bene e pronta a tornare in Israele da dove ero giunta da poco.
In considerazione dello stress di un anno di Missioni all’estero pericolose e serrate, Africa, Colombia, Israele Palestina, con tanto di attentato e tentativo di sequestro, pensai una mattina di farmi delle analisi di controllo, un semplice emocromo di routine.
Ne emerse una forte anemia di cui si rese necessario ricercarne la causa, non avendo io avuto alcuna emorragia né altro che potesse indurre sospetti.
E così grazie ad una gastroscopia con esame istologico e tac con mezzo di contrasto, in poche ore venni a conoscenza che la mia sosta terrena era ormai al suo capolinea.
Nessuna speranza concreta dalla medicina ufficiale, tante ipotesi dalla medicina alternativa….
Ma a prevalere era la consapevolezza di un cancro tanto aggressivo al punto di pensare che solo un miracolo avrebbe potuto debellarlo.
Sono una donna di grande Fede, e pur tenendo ben presente il calendario che scandisce i giorni ultimi, non mi stupirei di scoprire all’improvviso di essere guarita.
Rifletto…
Siamo tante le persone che in questi giorni condividono il mio stesso male, molti sono volti noti e li vediamo spesso in televisione, persone apparentemente forti, determinate, persone che a guardarci in faccia, nessuno immaginerebbe che nel nostro corpo è già entrata la morte.
Mi chiedo tuttavia se ci si domanda come stiamo vivendo questa esperienza nella nostra intimità, nei segreti della nostra anima, al di là del sorriso che mostriamo, del coraggio, e di quanto anziché consolare noi stessi, paradossalmente sostiene coloro che ci circondano, familiari, amici, colleghi, al punto che spesso si ha la sensazione che anche chi ci ama si sia in un certo senso abituato alla nostra malattia.
E qui sorge il problema vero, quello più doloroso: sentirsi soli.
Sensazione ben diversa dall’essere soli, no, anzi dobbiamo infinita gratitudine a chi ci sta vicino, e chi ci assiste con amore, ma ripeto, il non essere soli non implica che non ci si senta ugualmente soli.
L’idea di una morte imminente, quasi scontata, ci porta a rivisitare in lungo e in largo, momento per momento, ogni attimo della nostra vita, ed ecco che ci si accorge all’improvviso che il cancro che abbiamo dentro ha avuto dei mandanti… coloro che si sono resi responsabili delle ferite della nostra anima.
Esistono persone che per loro fortuna godono di una scarsa sensibilità, e quelle sono le più immuni per una malattia mortale come il cancro.
Ci sono però altre persone che vivono gli eventi della quotidianità e i protagonisti di tali eventi nelle sfere del sentire interiore, dell’anima, e subiscono anche inconsapevolmente ferite che sanguinano e da cui si generano e degenerano le cellule della morte.
Queste mie riflessioni possono apparire fantascientifiche, ma in questi ultimi tempi ho indagato a fondo sulle origini del cancro, sulle varie manifestazioni fino a differenziare gli obiettivi colpiti dalla malattia e di cui ciascuno è riconducibile a situazioni esistenziali ben precise.
Ogni organo del nostro corpo reagisce nella sua specificità alle prove della vita.
Capita anche che nel risalire alle responsabilità del nostro cancro ci si renda conto che le cause da noi individuate non siano eliminabili, modificabili, e allora ci si arrende poiché non vi sarà mai alcuna terapia scientifica capace di rimarginare la ferita che è in noi, fonte primaria delle cellule che ci portano alla morte.
Per noi malati di cancro, questi giorni di Natale non sono giorni di festa, anche se proprio da noi ci si aspetta il sorriso, e quanto basta a far dimenticare a chi ci circonda, che forse sarà l’ultimo nostro sorriso vestito da Babbo Natale….
Gabriella Pasquali Carlizzi
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