QUEL VOLO ALL'INGIU'PER SENTIRSI DONNA ... SI FA PER DIRE
GRAZIE ALLA VITA
Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato due stelle che quando le apro
perfetti distinguo il nero dal bianco,
e nell'alto cielo il suo sfondo stellato,
e tra le moltitudini l'uomo che amo.
Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato l'ascolto che in tutta la sua apertura
cattura notte e giorno grilli e canarini,
martelli turbine latrati burrasche
e la voce tanto tenera di chi sto amando.
Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato il suono e l'abbecedario
con lui le parole che penso e dico,
madre, amico, fratello luce illuminante,
la strada dell'anima di chi sto amando.
Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato la marcia dei miei piedi stanchi,
con loro andai per città e pozzanghere,
spiagge e deserti, montagne e piani
e la casa tua, la tua strada, il cortile.
Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato il cuore che agita il suo confine
quando guardo il frutto del cervello umano,
quando guardo il bene così lontano dal male,
quando guardo il fondo dei tuoi occhi chiari.
Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato il riso e mi ha dato il pianto,
così distinguo gioia e dolore
i due materiali che formano il mio canto
e il canto degli altri che è lo stesso canto
e il canto di tutti che è il mio proprio canto.
Grazie alla vita che mi ha dato tanto......
TESTIMONIANZA DI GABRIELLA PASQUALI CARLIZZI
Un pezzo di me se n’è andato via per sempre con lei, quella Gabriella che conobbi fin dai tempi della contestazione, quella Gabriella che mi somigliava tanto, per la sua grinta, il suo estremismo, il rifiuto del compromesso, a qualunque costo.
Al Pantheon, ci chiamavano “figli dei fiori”, anche se nella nostra generazione, a casa, in famiglia, vivevamo piuttosto le spine, i rovi dell’incomprensione, la clausura di schemi sociali rigidi, che ci davano il senso della prigione.
E ci fu un momento in cui cominciammo ad uscire con abiti lunghi, colorati, dipinti a mano, con le nostre mani.
E non portavamo gioielli, ma con le matite colorate disegnavamo un fiore sulla guancia, sul dorso di una mano, e appena potevamo ci toglievamo le scarpe, perche ci piaceva camminare scalzi, liberi da qualunque laccio.
E così sorridevamo a chiunque si incontrava per la strada, spesso regalavamo un fiore, era il nostro tentativo di contagiare il genere umano di quella vita che era in noi.
Il sabato, a piazza Navona, seduti a terra, e capivamo di non essere soli, anche se il nostro mdo di cantare l’amore, la pace, ai grandi, agli adulti, faceva paura, e i commenti di chi passava o delle nostre famiglie, erano, nel migliore dei casi: “Che vergogna....”.
Gabriella conviveva con la sua chitarra, per lei era come il bastone bianco per un cieco, le dava sicurezza , a lei così ribelle ma tanto fragile, tanto donna.
E quella voce roca nascondeva un canto di Angeli che sapeva di dover tacere, per non subire quello che di lei altri non avrebbero mai capito.
E ci univamo, dopo le prime note, trascinati tutti dalla veracità di quella Roma degli stornelli, maliziosa, tentatrice, generosa di qualche ora di spensieratezza, di allegria.
Poi, l’ora di tornare a casa, e poi sul volto di ognuno i segni della malinconia, della solitudine, dell’inquisizione.
Le solite liti, uguali per tutti: “Dove sei stata fino a quest’ora conciata così? ....Tu sei la vergogna della famiglia, un giorno o l’altro ti grogheranno, ma è meglio che non ci torni a casa, prima di darci altri dolori....”
Il giorno dopo ci si ritrovava, bastava poco per esorcizzarsi dalle prediche, i sermoni cui ormai eravamo abituati e da quando ci difendavamo indossando la maschera da “ragazze per bene..”
Il fatto era che avevamo solo voglia di amare, di sentirci amate, di sorridere, di cantare, e tutto questo veniva giudicato come una vergogna.
Ci sentivamo dire : “Chi ti vuol bene ti fa piangere, chi ti vuol male ti fa ridere”, e questa fu la violenza che segnò la nostra generazione, che ci obbligò di fatto a nascondere la nostra identità, o a rifugiarla nell’arte, un pianeta che ci portava fuori da tutto ciò che quotidianamente ci feriva, calpestando gli ideali dei nostri anni più belli.
E l’Arte fu anche il pianeta di Gabriella.
Per alcuni fu una parentesi di vita, per altri fu l’inizio di un cammino contro corrente, come quello di Gabriella Ferri, come fu anche il mio cammino, e lo è ancora, ora più che mai.
Una scelta quasi obbligata, se volevi difendere la voglia di vivere che ti scoppiava dentro, ma come tutte le cose, avremmo prima o poi dovuto scoprire l’altra faccia della medaglia che pure avevamo scelto.
Ragazze considerate forti, volitive, coraggiose, e così senza accorgecene, la nostra femminilità, giorno dopo giorno, veniva sacrificata dalla stessa forza che emanavamo per gli altri, divenenedo il sostegno al quale tutti potevano appoggiarsi.
Anche nell’amore, nei sentimenti, tanta era la voglia di donare, che negli anni ci siamo dimenticate di fermarci un attimo, per dare tempo a chi ci amava, o a chi ancora ci ama di ricambiare.
Le ragazze di quel tempo, le donne di oggi, annegano nella solitudine, cercano la debolezza come un bene perduto, per la colpa di essere forti, di non arrendersi mai, di rimediare sempre ai problemi quotidiani, prima ancora che pesino su coloro che ci stanno vicini, ma che forse di noi, tutto amano fuorchè la debolezza, la femmminilità pura, il sogno di una giornata senza problemi, il desiderio incolmabile, di sentirsi dire: “Stai tranquilla, ci sono io, che risolvo tutto....”.
E così Gabriella Ferri ce l’ha fatta, ha spiegato le ali della solitudine per quell’ultimo volo all’ingiù, e nei ricordei di tanta gente ha preso vita, per la prima volta, il suo lato debole, fragile, intimamente femminile, quel lato che la vita l’aveva costretta a nascondere, per mostrarsi forte, forte come la sua voce, forte per non chiedere amore, forte per continuare ad amare, rispettando ogni scelta, ogni cambiamento, lasciandosi andare ad una confidenza regalata al figlio lontano, eletto custode di un tesoro prezioso, che lo accompagnerà per sempre: “ Figlio mo, non dimenticare mai che sei tutta la mia vita..”......Parole magiche di chi vuole continuare a vivere dopo la morte, non come un esempio, non come un’artista, semplicemente come una Donna....
Gabriella... perchè te ne sei andata...potevamo cercare insieme “Za-Za...”....
Gabriella Pasquali Carlizzi
Lasciate i vostri commenti
Invia un commento