Una finestra nuova, per tutti, aperta sulla strada, sul mondo, ... lontana dai poteri, vicina alla gente, ... curiosa, rispettosa, amica, ... aperta allo scambio, alla battuta, al saluto, alla discussione, alla polemica, ...incline alla pace, ... ansiosa di verità, ...anche provocatoria se necessario, ... puntuale, ... intrigante, ... attesa, ............
di Gabriella Pasquali Carlizzi - Mercoledì 6 Maggio 2009
 

QUELLO CHE C’E’ DIETRO IL DIVORZIO TRA VERONICA LARIO E SILVIO BERLUSCONI…
RIGUARDA IL NOSTRO PAESE…
PRIMA O POI IL SIPARIO SI DOVEVA CHIUDERE SUL “TEATRO POLITICO E SOCIALE” DELL‘ATTUALE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, IL QUALE CI AUGURIAMO ABBIA IL BUONGUSTO DI RITIRARSI IN PUNTA DI PIEDI….LA PLATEA QUESTA VOLTA NON APPLAUDIRA’ E TANTO MENO CHIEDERA’ IL BIS…
E NEMMANO L’ABILE MOSSA DEL “CAVALIERE” DI PUNTARE TUTTO SUL RIDICOLO EPISODIO DELLE “VELINE” PUO’ SVIARE I PIU’ INFORMATI DALL’AFFRONTARE DI PETTO UNA REALTA’ CHE PRIMA O POI DOVEVA ESPLODERE…
E D’ALTRA PARTE SE LA SIGNORA LARIO HA DATO VOCE ALLA STAMPA, NON E’ CERTO PER RISOLVERE UN PROBLEMA A LEI BEN NOTO, DI IPOTETICHE RELAZIONI EXTRACONIUGALI DEL MARITO ULTRASETTANTENNE…
LA SIGNORA LARIO, PER FINI CHE NON CI E’ DATO AL MOMENTO CONOSCERE, VUOLE INVECE MOSTRARE ALL’ITALIA IL VERO VOLTO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO…

 
La vicenda che ha travolto con la violenza di un terremoto la vita di Berlusconi, necessita di essere analizzata a partire da molto lontano, se vogliamo conoscere fino in fondo l’uomo che con le sue doti di grande comunicatore, ha incantato milioni di italiani…

Diciamo che finora se l’è cavata, come si suol dire, “per il rotto della cuffia”, ma in un momento drammatico come quello che il nostro Paese sta vivendo, c’era da aspettarselo, che chi in tempi più sereni sarebbe riuscito a continuare ad arrampicarsi sugli specchi, oggi rischia lo scivolone dal quale forse non si rialzerà più.

La contorta e provocatoria reazione del Cavaliere, il quale non fa altro che ripetere che sua moglie sarebbe caduta in una trappola ordita dalla sinistra, la dice lunga, e non va vista nella direzione degli avversari politici, ma reca in sé la sgradevole sensazione che Berlusconi si prepari a far passare la moglie per una persona facilmente plagiabile, dunque labile nel pensiero, fragile in tema di lucidità mentale, non scevra da condizionamenti….

E’ questo il colpo basso che non stupirebbe certo coloro che ben conoscono la storia dolorosa della signora Carla Dell’Oglio, prima moglie del Cavaliere, una storia che ci auguriamo non debba ripetersi anche con Miriam Bertolini, in arte Veronica Lario.

In questi giorni si discute anche con il parere di illustri filosofi, su quale sia il confine tra il concetto di “pubblico” e il concetto di “privato”, nei casi in cui i protagonisti di una storia, rivestano anche le più autorevoli cariche pubbliche.

Facciamo un esempio.
Giulio Andreotti, l’uomo che ha scritto da protagonista cinquant’anni di storia, conquistando un potere internazionale come nessun altro, è stato un esempio della tutela del suo “privato”.
Infatti , benché anche ad Andreotti non siano mancati momenti di vita “mondana”, lui è stato sempre bene attento a non avvalersi del suo privato quale esempio da presentare al pubblico.
E nessuno mai è andato a ficcare il naso in casa Andreotti, in quanto il referente per decenni di storia politica del Paese era lui, nel bene e nel male, era la sua ideologia, erano i suoi affari in tutto il mondo, tutto insomma convergeva nel modello di un politico, di un uomo di Stato.

Berlusconi, al contrario, quando fu “costretto” da oggettive e gravissime situazioni a “scendere in politica”, non potendo in quel particolare momento presentare un biglietto da visita come il top del grande imprenditore, ricorse al “modello americano”, l’uomo socievole, democratico, simpatico, che stringe la mano a chiunque incontri sulla strada, ma ancor più il marito innamorato e fedele e padre irreprensibile, tanto da riuscire con tutti i suoi impegni ad accompagnare a scuola i tre ultimi nati dall’unione con la signora Lario.

Nel 1994, mentre molte delle aziende del Cavaliere erano sull’orlo del fallimento, e sarebbe bene che gli Italiani si documentassero in proposito, quest’uomo si propone in politica con Forza Italia, proclamando la sua scelta di “sacrificarsi” per salvare il Paese….
Dunque lui, rinunciava ad occuparsi degli scontati fallimenti delle sue aziende, per tentare di salvarsi col voto degli Italiani, ma soprattutto godere subito di un bene preziosissimo di cui si sarebbe avvalso negli anni tante volte: l’immunità parlamentare. … 

Stranamente, appena eletto, l’ex imprenditore Silvio Berlusconi sembrò uscire dall’incubo del fallimento, anche perché, i creditori iniziarono ad essere pagati…
Con quali soldi, visto che prima di diventare “onorevole” non riuscì a pagare nemmeno gli autisti della Fininvest?

E in quegli anni, sul povero “Berlusca”, ad ogni suo successo popolare, ecco che gli cadeva tra capo e collo un’ avviso di garanzia e una raffica di perquisizioni…

Di qui, la sua “mania di persecuzione”, unica via d’uscita per intenerire il buon cuore degli Italiani, e convincerli che tutto il mondo ce l’aveva con lui.
E giù attacchi ai Magistrati, affermazioni gravissime, un vero esempio di buon esempio per tutti quei giovani che sono sempre più sfiduciati e meno rispettosi delle Istituzioni, prima fra tutte la Giustizia.

Ora, in tutto questo, è giusto chiedersi: ma Veronica Lario, dov’era?

Due le ipotesi: o la coppia era già “scoppiata” e la signora consapevole di non godere dell’immunità parlamentare si era dissociata da tutto ciò che gravava sul marito, oppure anche lei era, suo malgrado, coinvolta in chissà quali situazioni.
In tutte e due i casi, però, la signora sapeva…

E non regge nemmeno il “cavillo” delle veline , o della dignità di un matrimonio offesa da comportamenti di un uomo affetto forse da “esplosioni senili”, in quanto la signora Veronica non avrà certo dimenticato, che quando iniziò la sua relazione con il Cavaliere, costui per tutti era un “modello” di marito felicemente sposato e già padre di due figli.
Non solo, ma si è sempre professato fervente cattolico, ancor più da quando scese in politica, dato che i voti dei cattolici fanno gola a tanti.
Per non parlare delle tante volte che, in qualità di primo Ministro, è stato ricevuto dai vertici della Chiesa.

Ma torniamo a Veronica, cercando di capire cosa si prepari a contestare al marito in sede di eventuale separazione per “colpa”.

E’ noto che quando tra i due scoppiò la scintilla, Berlusconi era già sposato da quattordici anni con Carla Dall’Oglio.
Per nascondere la relazione, il cavaliere convinse l'attrice a trasferirsi al piano superiore di villa Borletti, a Milano, all'epoca sede operativa di Fininvest e studio personale di Berlusconi.
Per circa quattro anni, ad Arcore, il cavaliere recitò la parte del marito perfetto e a Milano quella dell'amante premuroso.
Nel novembre del 1983, Miriam Bartolini , Veronica, scoprì di essere in dolce attesa e il cavaliere la trasferì in una clinica ad Arlesheim, in Svizzera.
Non è dato sapere come e quando il cavaliere comunicò alla moglie i termini della situazione in cui si trovava da quattro anni.
Secondo Giorgio Dall’Oglio, la sorella subì uno shock.
“Mia sorella”, confidò Dall’Oglio, “ si è presa un forte esaurimento nervoso e una grave depressione. Il suo carattere è cambiato repentinamente. Inoltre, ha dovuto far ricorso alle cure dei medici, che le hanno consigliato di andare via da casa e vivere per qualche tempo lontano da Milano.”
( Fonte: http://www.splinder.com/myblog/comment/list/7676120 )

E poiché pensiamo che la signora Lario, sia consapevole del fatto che se lei avesse rifiutato di intraprendere una relazione extraconiugale con Berlusconi, forse si sarebbero risparmiate atroci e ingiuste sofferenze alla prima moglie del Cavaliere, ecco che non riteniamo che Veronica sia giunta alla decisione di un divorzio clamoroso, per fatti, veri o presunti, ma di cui a suo tempo ella stessa si era resa protagonista.

Non solo, ma la signora Lario, già tanti anni addietro lesse sui giornali di una intercettazione del 31 dicembre 1986 (ore 20.52) di una conversazione tra Berlusconi e Marcello Dell’Utri, conversazione che ancora oggi gira in internet e che riportiamo qui di seguito:
B. parla con Marcello Dell'Utri per le ragazze di Drive In.
«B: Iniziamo male l'anno!
D. Perché male?
B. Perché dovevano venire due di Drive In e ci hanno fatto il bidone! E anche Craxi è fuori della grazia di Dio!
D. Ah! Ma che te ne frega di Drive In?
B. Che me ne frega? Poi finisce che non scopiamo più! Se non comincia così l'anno, non si scopa più!».
Atteggiamento confermato da altre dichiarazioni dello stesso tenore: intervistato su Rtl 102.5, alla domanda «lei è fedele?», ha ghignato e dichiarato: «Le darò una risposta malandrina, sono stato frequentemente fedele”…
( Fonte: http://www.splinder.com/myblog/comment/list/7676120

E Veronica Lario, dovette anche scoprire la presunta love-story tra il marito e Francesca Dellera, altra vicenda che la signora scoprì nel 1993, nel pieno della passione, e da allora i coniugi Berlusconi vivono praticamente separati.

Dunque che motivo aveva la signora Lario di fare “tanto chiasso” per i comportamenti di un marito col quale manteneva in piedi solo un “matrimonio di facciata”?

Evidentemente i motivi vanno ricercati altrove e forse in vicende da cui la signora Lario vuole pubblicamente prendere le distanze senza ritrovarsi coinvolta da un momento all’altro in chissà quali incresciose situazioni.

E non è fantasioso ipotizzare che Berlusconi tema di dover affrontare una separazione per “colpa”, sede in cui fatti mantenuti sotto il più stretto riserbo, si rischia di doverli leggere sulla prima pagine dei giornali di tutto il mondo…

E non è forse vero che Berlusconi se la prende sempre con la stampa?

Ma scusate lui non è anche il più prestigioso editore e proprietario di giornali e televisioni?

E se una parte del suo patrimonio, spettasse di diritto a noi Italiani? 

Scusate, ma forse sarà meglio ricordare “in numeri” la situazione finanziaria di Berlusconi fino al giorno in cui ….. fu “costretto” a sacrificarsi per l’Italia, e scese in politica, pagando i suoi debiti, come avrebbe fatto qualunque uomo abbastanza per bene…

Un po’ di ripasso…

Era una domenica buia e tempestosa, la prima dell’ottobre 1993, quando ad Arcore Silvio Berlusconi convocò per cena i suoi colonnelli.

Da Adriano Galliani a Fedele Confalonieri, da Giancarlo Foscale a Marcello Dell’Utri.
La notizia era ferale «Franco Tatò è da domani il nuovo amministratore delegato della Fininvest».
Gelo. Ma così parlò Berlusconi quella sera, quando la sua discesa nel campo della politica era ormai decisa e non poteva prescindere da una svolta nella guida della Fininvest.

La scelta di Tatò, che dal 1991 guidava la Mondadori, ma che era visto come il fumo negli occhi sia da Dell’Utri, sia da Foscale, aveva un ben preciso significato: era il commissariamento della Fininvest, imposto dalle banche creditrici del gruppo.
Perché?
Semplice: perché il Biscione era letteralmente sull’orlo del fallimento.

Il bilancio consolidato di quell’anno stava per chiudersi con un fatturato di 11.550 miliardi, ma i debiti avevano raggiunto il livello monstre di 4 mila miliardi.
Per dare un’idea di cosa significava quel numero, in un momento in cui i tassi d’interesse applicati dalle banche erano tre volte quelli odierni, si può fare un parallelo con quanto oggi Berlusconi ripete sempre cavalcando il suo principale spot elettorale, quello della riduzione delle tasse.
Con i governi dell’Ulivo, dice Silvio, voi italiani lavorate per più di 6 mesi l’anno solo per pagare le tasse, mentre solo da luglio in avanti cominciate a guadagnare davvero.

Ebbene, nel 1992 Berlusconi aveva lavorato per le banche per tutti i 12 mesi dell’anno, visto che gli oneri del suo debito (556 miliardi) superavano addirittura l’utile operativo del gruppo, che era di 500 miliardi. Il bilancio si era chiuso con un risicato utile netto di 20 miliardi (0,17 per cento dei ricavi) solo grazie a qualche (peraltro legittimo) artificio contabile.

In quegli anni la situazione era talmente drammatica che il gruppo andava avanti grazie al lavoro della Istifi, una sorta di banca interna alla Fininvest, che utilizzava la cassa generata day by day dalla Standa per pagare le spese (compresi gli stipendi dei 30 mila dipendenti) di tutto l’impero.
Un giro che era possibile anche perché la Standa non pagava i fornitori.
O meglio, li pagava con 9-12mesi di mora. Solo così riusciva a generare il cash necessario per attivare il circolo virtuoso.

Ed era questo il principale motivo per cui Berlusconi aveva strapagato la casa degli italiani acquistandola dalla Montedison qualche anno prima e se la teneva nonostante i bilanci in profondo rosso che andavano ad appesantire l’indebitamento di gruppo.

In quel momento una bella parte della Fininvest era di fatto ipotecata a favore delle banche, a cui erano stati dati in pegno i pacchetti di controllo della Standa (54 per cento) e della Sbe (Silvio Berlusconi editore), che controllava la quasi totalità della Mondadori. I nomi dei gruppi bancari più esposti con Berlusconi sono quelli di Cariplo, Comit, Banca di Roma, Bnl, Montepaschi.

Sono loro a chiedere a Tatò di fare qualcosa e di farlo subito. E Kaiser Franz esegue: nel giro di un anno, il 1994, colloca in Borsa la Mondadori, incassa 800 miliardi, e avvia il processo di quotazione della Mediolanum, il gruppo finanziario guidato da Ennio Doris, ma controllato, allora come oggi, da un patto di sindacato paritetico con Fininvest, che frutterà altri 700 miliardi. In entrambi i casi Tatò riesce ad andare fino infondo perché coinvolge nelle due operazioni Mediobanca.

Senza Cuccia, che non ha mai amato Berlusconi, non sarebbe stato facile fare quei due collocamenti chiesti sarebbero poi rivelati decisivi per dare ossigeno al Biscione. E senza il trait d’union di Tatò Mediobanca non sarebbe mai arrivata ad aiutare Fininvest.

Il lavoro di Tatò si svolge in parallelo su tutto il fronte dei costi del gruppo, che vengono tagliati, ridotti, eliminati, non senza suscitare clamore e malumore in tutta una fascia di dirigenti che fino ad allora erano stati abituati a spendere e spandere perché l’importante era una cosa sola :crescere. In questo contesto Tatò si prepara a vendere anche la Standa, alla Rinascente.

L’operazione era già praticamente conclusa, quando per bloccarla si muove Berlusconi in persona, che non vuole rinunciare alla cassa e a 3mila miliardi di fatturato. E' il segno della rottura, che avviene nel1995, quando Tatò lascia la Fininvest per tornare in Mondadori (da cui se ne andrà un paio d’anni dopo), e al timone del gruppo sale Ubaldo Livolsi, l’uomo chiave nell’operazione finale del salvataggio di Berlusconi: la nascita e la quotazione in Borsa di Mediaset.

Livolsi lavorava nel gruppo già dal 1991, nella direzione finanziaria di cui era diventato il numero uno. Per 3-4 anni il suo compito, nell’ombra, è stato quello di risistemare i bilanci del gruppo per preparare l’«operazione wave», come era stato battezzato lo sbarco in Borsa.

Aveva acquisito la stima del sistema bancario e la fiducia totale di Berlusconi, anche perché, avendo a che fare con i bilanci del gruppo, si era trovato a trattare in prima persona anche lo scottante caso All Iberian (la finanziaria«riservata», all’estero, del gruppo), per il quale ricevette un rinvio a giudizio proprio alla vigilia della quotazione in Borsa di Mediaset.

Il lavoro di Livolsi era semplice: mettere in una nuova società, con un nome diverso da Fininvest, sia le televisioni (Rti) sia la pubblicità (Publitalia). Poi, per questa sorta di Fininvest 2, ribattezzata Mediaset e dotata di biscione d’ordinanza, bisognava trovare un gruppo di investitori disponibile ad acquistare il 10-20 per cento.

Un’altra quota analoga sarebbe poi stata collocata in Borsa. Risultato finale: raccogliere quei 3 mila miliardi che sarebbero serviti per azzerare sia il debito ereditato da Mediaset, sia il residuo rimasto in Fininvest. Il tutto, mentre Berlusconi, dopo il ribaltone della fine del 1994, era in lizza per tornare a Palazzo Chigi.

L’operazione riesce e va detto che, in effetti, il materiale non mancava perché tre concessioni tivù e la loro concessionaria di pubblicità avevano un preciso valore di mercato: almeno 5 mila miliardi.

Livolsi comincia con il mettere insieme alcuni investitori stranieri, e nel luglio del 1995, vara un aumento di capitale di Mediaset di 1.200 miliardi che viene sottoscritto da un vecchio amico di Berlusconi come Leo Kirch, da un magnate australiano dei media relativamente sconosciuto come Joahnn Rupert, e in piccola parte dal principe Al Waleed. Successivamente, sottoscrivono quote minori anche vari investitori istituzionali esteri, tra cui la Morgan Stanley guidata da Claudio Sposito, attuale numero uno di Fininvest. In dicembre entrano finalmente le banche italiane.

Le vecchie creditrici del Biscione rilevano il 5,2 per cento di Mediaset direttamente dalla Fininvest. Sono Imi, Montepaschi, San Paolo, Comit, Cariplo e Banca Roma. E' un passaggio fondamentale perché rappresenta il nocciolo duro del consorzio che, di lì a sei mesi, garantirà a Mediaset il collocamento in Borsa.
In particolare, risulta decisivo il ruolo dell’Imi di Luigi Arcuti,che guiderà la quotazione in Borsa, e che nell’operazione si assume, in qualche modo, la posizione di garante di Berlusconi nei confronti del mercato.
Anche la Bnl di Mario Sarcinelli svolge un ruolo importante perché entra in Mediaset in un secondo momento, in tandem con British Telecom che era destinata a diventare il partner strategico di telecomunicazioni del gruppo (una scelta che poi si rivelerà errata).

A tutti questi soci della prima ora Livolsi offre un’opportunità decisiva per capire il senso dell’operazione: comprate oggi, per rivendere domani, se volete. Infatti ai soci viene proposto di offrire al mercato parte delle azioni sottoscritte nel momento del collocamento in Borsa.

Ma anche di acquistarle sul mercato a prezzi prefissati: ai grandi soci vengono infatti riservate alcune opzioni per il futuro.
In tutto, tra Mediaset e Fininvest, vengono raccolti 2 mila miliardi. Poi, a luglio 1996, scatta l’operazione Borsa, con un collocamento da altri 2 mila miliardi, in parte attraverso un aumento di capitale di Mediaset, in parte con la vendita di azioni realizzata da Fininvest e dai nuovi soci. Il risultato è un successo: l’offerta (a 7 mila lire per azione) va esaurita il primo giorno.

Per Berlusconi è un bel risultato, visto che è riuscito a salvare il gruppo, a incassare 4 mila miliardi e, nello stesso tempo, a mantenere il controllo di Mediaset, che dopo l’«operazione wave» rimane comunque controllata dalla Fininvest al 49 per cento.
Gli altri soci, nel tempo,ridurranno tutti la loro partecipazione.
Al punto che , dietro a Fininvest (che ha il 48, 3 per cento di Mediaset), dei grandi soci della prima ora rimasero solo Bt, con il 2,1per cento, e Al Waleed, con il 2,3 per cento

(Fonte: http://www.societacivile.it/primopiano/articoli_pp/berlusconi/debiti.html)

Lasciate i vostri commenti

Invia un commento

0
I vostri commenti sono sottoposti al controllo dell'editoria.
  • Nessun commento