MOSTRO DI FIRENZE: “UN’INDAGINE ESTREMA DEL COMMISSARIO LUPO BELACQUA”, ULTIMO THRILLER DI MARIO SPEZI.
UN LIBRO CHE PARLA… MA A POCHI, AI SOLI CHE HANNO VISSUTO E CONTINUANO A VIVERE DALL’INTERNO L’INCHIESTA INFINITA SUI DUPLICI DELITTI DELLE “COPPIETTE”…
AI “PROFANI”, IL NARRATORE, OFFRE UN AFFASCINANTE ENIGMA, A VOLTE INQUIETANTE, A VOLTE DIVERTENTE, MA SICURAMENTE DALLO STILE BEN STUDIATO …. UN TEST UTILE PER GLI “STRIZZACERVELLI”…
In ogni caso, il narratore ha mostrato in questo giallo, l’abilità del “genio”, e per questo vale la pena di commentare l’opera, anche al fine di tracciare una “guida alla lettura” di “Un’indagine estrema del Commissario Lupo Belacqua.
In questo caso, prima di entrare nel merito della trama vera e propria, è necessario sottolineare alcune nostre osservazioni.
Infatti, l’autore, fa precedere il racconto da una citazione:
“CON TUTTO CHE QUESTO CHE IO TI FO NON SI POSSA
ASSAI PROPIAMENTE VENDETTA CHIAMARE, MA PIU’ TOSTO
GASTIGAMENTO”
(Boccaccio, Decamerone,
Ottava giornata novella settima)
In calce al testo leggiamo:
“Questo romanzo è liberamente ispirato a fatti di cronaca. L’ideazione e lo sviluppo della storia e dei personaggi sono frutto della fantasia dell’autore”
Dunque l’ignaro lettore dovrebbe dedurre che la trama si articola intorno a fatti realmente accaduti, mentre nomi, luoghi, e circostanze dovrebbero essere inventati, appunto come quando nella narrativa ci si tutela con la classica formula “ogni riferimento a fatti realmente accaduti o a persone realmente esistite o esistenti è puramente casuale”.
Dunque nomi frutto della fantasia dell’autore e non riconducibili a nessuno che esista nella realtà, se non per puro caso…
Tuttavia, Mario Spezi, nella presentazione del suo thriller, pubblicata sul suo sito web, dopo aver sintetizzato la trama conclude:
“Il doppio finale che attende il lettore è così spiazzante da lasciare interdetti. E forse farà infuriare qualcuno. Ma così è la vita. “
La domanda è d’obbligo. “Perché mai un romanzo dovrebbe fare infuriare qualcuno?”
E d’altra parte la citazione del Boccaccio, scelta non a caso dall’autore, appare abbastanza eloquente.
Dunque anche in questo “labirinto letterario” si rende necessario individuare il “messaggio” forse criptato in una storia apparentemente avvincente ma con precisi destinatari.
Ma chi è Lupo Belacqua?
Un Commissario e Capo della Squadra Mobile di Firenze.
In che anni è ambientato il romanzo?
Spezi ci dà una traccia.
Infatti parla di “euro”, parla di un mese di “agosto”, ma soprattutto parla della larva Calliphora… Dunque siamo nell’estate del 2002.
Infatti proprio in quell’estate Mario Spezi, approfittando della presentazione del libro di Cecioni e Monastra “Il Mostro di Firenze” , evento che si tenne alle Giubbe Rosse , noto circolo letterario della città dell’arte, il “mostrologo” annunciò di avere in mano uno scoop mondiale e tale da far saltare tutte le indagini sui duplici delitti del Mostro, e smascherare gli inquirenti che a suo dire, le avrebbero depistate negli anni.
Invitava pertanto i presenti a seguire per il lunedì successivo la trasmissione “Chi l’ha visto?” durante la quale avrebbe fatto il botto con il suo “scoop”.
Ma di che si trattava?
A sentire Spezi, la prova era inconfutabile e scientifica, aveva perfino un nome, era una testimone “eccellente”…
Ma chi?
Come, non conoscete la larva Calliphora?....
Ora, è opportuno ricordare il motivo per cui Spezi insieme al regista di “Chi l’ha visto?” , Pino Rinaldi, organizzarono quello che non riuscì, né come scoop, né tanto meno servì a distruggere decenni di indagini, e men che se ne dica a convincere il competente Tribunale di Genova ad accogliere le ripetute istanze presentate dal difensore di Vanni, ed ora anche difensore di Mario Spezi, per la revisione della sentenza definitiva che vide condannati i “compagni di merenda”.
Calliphora, mosca era, e mosca rimase… anzi la mosca dei morti.
Ma che doveva dimostrare questa larva?
In sintesi, Spezi e chi per lui, sostenevano che l’ultimo duplice delitto, quello della coppia dei francesi, il Mostro non lo commise l’8 settembre del 1985, bensì almeno ventiquattro ore prima.
E se così fosse stato, allora Pacciani avrebbe avuto un alibi di ferro, e di conseguenza la “confessione” del “pentito” Lotti sarebbe stata in qualche modo “estorta” dagli stessi inquirenti, in cambio di una “sistemazione” più decorosa del reo-confesso.
Ora ci si chiederà: dove sta il collegamento tra la “Calliphora” di cui parla Mario Spezi nel suo thriller, e la Calliphora che il “mostrologo” chiamò a testimone nel duplice delitto degli Scopeti?
Il collegamento è proprio in questa machiavellica opera letteraria, quando l’autore, dopo aver precisato che i riferimenti della narrazione sono frutto della sua fantasia, fa finta di dimenticarsene, e pubblica nomi e cognomi reali e ben collocabili in fatti e circostanze dettagliate.
Ed ecco che a pagina 50 e seguenti dell’intrigante thriller leggiamo due nomi che ci sembra di aver già sentito: gli illustri professori anatomo-patologi ed etmologi, Introna ed Altamura.
Ma come non doveva essere un romanzo?
Introna ed Altamura, non furono gli scienziati che espletarono per Spezi&Company la perizia sulla Calliphora ritrovata sui cadaveri dei due poveri francesi uccisi dal Mostro?
Certo che si, furono proprio loro, ed ecco che senza nemmeno ricorrere a nomi di fantasia, Spezi ce li vuole ricordare nel “romanzo” con le loro vere identità.
A questo punto la lettura si fa sempre più interessante: e come non cedere alla curiosità di andare a verificare anche la reale esistenza di altri illustri nomi citati nel libro?
Impossibile non rimanere sconcertati, impossibile non chiedersi il movente che abbia spinto l’autore a rischiare tanto, ad esporsi in prima persona a querele da parte di chi può ben pagarsi parcelle astronomiche di avvocati, quei “Principi del Foro” che sono capaci di ottenere risarcimenti per decine e decine di migliaia di euro.
A meno che, tra l’autore del thriller e i personaggi illustri, realmente esistenti, cui Spezi attribuisce ruoli anche criminali, oltre che di gay e lesbiche, non ci sia stato preventivamente e chissà per quali oscure vicende, un tacito “accordo”.
Ricatti? …..
Chiamate in correo?.....
Difficile immaginarlo, fatto sta che più lo si legge e più il “romanzo” appare realtà.
Una delle famiglie protagoniste della storia sono i gioiellieri Giannelli, tra le più prestigiose e antiche gioiellerie fiorentine.
E come tali sono presentati nel thriller, con l’aggiunta che la figlia Lorenza, amante della bella Leah Ross, organizza con quest’ultima l’omicidio del proprio marito, al quale le due lesbiche intendono scippare l’esigua somma di un milione di euro, frutto di una mercanzia di diamanti.
A sua volta, il genero del vecchio Giannelli, ucciderà invece con un colpo di scena la moglie Lorenza, figlia appunto del Giannelli.
Dunque una famiglia di assassini, depravati dediti ad affari sporchi nel mercato dei diamanti.
E così il lettore che credeva di leggere una storia ispirata a fatti reali con nomi di fantasia, si ritrova dinanzi a nomi veri e di chiara fama, protagonisti di fatti….
Qui, il rebus, perché a dar retta all’autore il racconto si ispira a fatti di cronaca….
Vedremo come reagiranno i signori Giannelli dopo la lettura di questo articolo, semmai dimenticassero di leggere il libro ignorando di essere stati “prescelti”, come obiettivo di ciò che non saremo noi a stabilire…
E che dire di quel povero Cecchini, il macellaio dei Vip, ove fanno salotto i turisti ma anche tutta la nobiltà delle colline fiorentine, nella frequentatissima Macelleria di Panzano nel Chianti?
Costui ha anche un sito web, e ci si accorgerà che oltre al nome, la descrizione del personaggio è perfetta e riconoscibile nella fotografia che compare nella “rete”.
Si potrebbe pensare ad una pubblicità concordata, ma considerando il ruolo che Spezi attribuisce al macellaio nel suo “romanzo”, appare più facile ipotizzare un qualche “messaggio in codice”, senza dimenticare la descrizione del coltello.
Il Cecchini dunque adescherebbe le giovanissime e nobili fanciulle, conosciute in occasione di qualche festa per cui prepara i piatti tipici del luogo, e poi tirate in trappola con misteriose email, dal mittente suggestivo e categoricamente “magico”, misterioro…
Pan666…
E bravo il Cecchini, chissà se si è letto in questa veste e chissà magari quanta gente che conosce bene l’uso del “romanzo” da parte di certi narratori, se ne guarderà bene da oggi in poi a farsi vedere in quella macelleria…
Ancora una volta nomi reali… e i fatti?
Stando all’autore dovrebbero essere fatti di cronaca…
E così di seguito per tutte le 215 pagine, un nome dopo l’altro, un delitto dopo l’altro, il tutto annodato intorno al principale protagonista della storia: Lupo Belacqua.
E qui viene il bello… anzi è il caso di dire che l’autore nel coniare il nome del Commissario, Capo della Squadra Mobile di Firenze nel 2002 (ricostruendo gli eventi citati nel thriller), ha toccato il livello della genialità.
Un vero rompicapo, anche se un indizio Mario Spezi, da generoso qual è lo ha lasciato per i lettori “di buona volontà”.
E vediamo di sviluppare un ragionamento e seguire il nostro filo d’Arianna.
Intanto, come abbiamo evidenziato, l’autore cita Boccacccio, e manda a dire a qualcuno che questo “romanzo” è da considerarsi un “gastigamento”.
Andando poi alla pagina 163, leggiamo:
“C’è un libro….che contiene tutti gli altri libri, tutti. E’ l’unico che valeva la pena di essere scritto. Se hai letto quello, hai letto tutti i libri del mondo. Gli altri, compresa la “Divina Commedia” e “Topolino”, sono solo divagazioni in attesa della risposta, che non viene mai, alla domanda posta dal primo…”
E’ Lupo Belacqua che parla, e il libro che secondo lui conterrebbe tutti i libri del mondo è il Libro di Giobbe, nella Bibbia.
Attenti però…
L’autore mette in evidenza con tanto di virgolette, la “Divina Commedia” e “Topolino”, dunque un richiamo per il lettore, almeno così lo abbiamo interpretato.
Pertanto pensiamo che in questi due “elementi” potrebbe essere criptato il nome di Lupo Belacqua, e di conseguenza il perché lo si sia attribuito al Commissario…
Sarà pure una casualità, ma “Belacqua” lo troviamo realmente nel IV° Canto del Purgatorio della Divina Commedia con i seguenti versi:
“Là ci traemmo; e ivi eran persone
che si stavano a l'ombra dietro al sasso
come l'uom per negghienza a star si pone.
E un di lor, che mi sembiava lasso,
sedeva e abbracciava le ginocchia,
tenendo 'l viso giù tra esse basso.
«O dolce segnor mio», diss'io, «adocchia
colui che mostra sé più negligente
che se pigrizia fosse sua serocchia».
Allor si volse a noi e puose mente,
movendo 'l viso pur su per la coscia,
e disse: «Or va tu sù, che se' valente!».
Conobbi allor chi era, e quella angoscia
che m'avacciava un poco ancor la lena,
non m'impedì l'andare a lui; e poscia
ch'a lui fu' giunto, alzò la testa a pena,
dicendo: «Hai ben veduto come 'l sole
da l'omero sinistro il carro mena?».
Li atti suoi pigri e le corte parole
mosser le labbra mie un poco a riso;
poi cominciai: «Belacqua, a me non dole
di te omai; ma dimmi: perché assiso
quiritto se'? attendi tu iscorta,
o pur lo modo usato t'ha' ripriso?».
Ed elli: «O frate, andar in sù che porta?
ché non mi lascerebbe ire a' martìri
l'angel di Dio che siede in su la porta.
Prima convien che tanto il ciel m'aggiri
di fuor da essa, quanto fece in vita,
perch'io 'ndugiai al fine i buon sospiri,
se orazione in prima non m'aita
che surga sù di cuor che in grazia viva;
l'altra che val, che 'n ciel non è udita?».“
I versi di Dante dipingono con straordinaria esattezza la descrizione che Spezi fa del Commissario Belacqua, o meglio di una parte della sua doppia personalità, poiché vi è nel personaggio un volto nascosto, quello stesso volto che alla fine del “romanzo” indurrà il Capo della Mobile di Firenze a propendere per una scelta “estrema”… la corruzione, in mancanza delle prove capaci di dimostrare la verità cui pure era giunto, aiutato dall’ispiratore Klemm e dal suo pur capace intuito investigativo.
L’altra faccia del Commissario sarà forse criptata nel nome, Lupo ?
In effetti l’autore del “romanzo” cita tra virgolette “Topolino”: e chi non ricorda a questo punto lo storico “Pluto”?
E ancora una volta ci ritroviamo sulle tracce di Dante, non più in Purgatorio, ma nel VII° Canto dell’Inferno, quando Pluto cerca di sbarrare la strada al “visitatore” e questi gli risponde:
“Taci, maledetto Lupo!
Consuma dentro te con la tua rabbia.
Non è senza cagion l’andare al cupo:
vuolsi ne l’alto là dove Michele
fè la vendetta del superbo strupo”
Che dire, se non applaudire alla genialità del narratore Mario Spezi?
Qualcuno si chiederà il perché nel “romanzo” l’autore appiccica addosso al Commissario Lupo Belacqua un dialetto da romanaccio….
Sorridiamo, mentre la risposta ci viene spontanea:
“Almeno in questo, Mario Spezi, ha usato la fantasia… purchè dialetto sia!”
1. Copertina del libro di Mario Spezi "Un'indagine estrema del commissario Lupo Belacqua";
2. La casina delle fate;
3. La ex fabbrica di palottole e dinamite Nobel;
4. La facciata della gioielleria Gianelli;
5. L'insegna dell'Antica Macelleria Cecchini.
COME DIRE: “GUAI A CHI PARLA DEL MOSTRO…”
MA POICHE’ SIAMO IN UN PAESE DEMOCRATICO, CI RITENIAMO LIBERI DI ESPRIMERE UN’OPINIONE, O ANCHE DI IMMAGINARCI COME SE ANCHE NOI FOSSIMO INVESTIGATORI… O ATTENTI OSSERVATORI…. O PER QUALCUNO, AMANTI DI DIETROLOGIA… CHISSA’…?
Un fatto è certo: nel tardo pomeriggio di sabato 9 maggio 2009, le agenzie di stampa lanciavano la notizia: “ I corpi di due giovani, trovati sgozzati nel bosco in prossimità di Bagno a Ripoli..”, e di seguito altre informazioni.
Si trattava di una coppia di ex fidanzati, Giulia Giusti di 22 anni e Lapo Santiccioli di 27, ambedue abitanti a Bagno a Ripoli.
E già nella stessa serata, i Carabinieri accorsi sul posto, essendo stati chiamati da un giovane motocrossista che se li era trovati davanti, rasserenavano la popolazione, affermando con certezza che si era trattato di un omicidio-suicidio.
E gli elementi per una conclusione del genere c’erano tutti.
Infatti la coppia da tempo viveva una notevole tensione, lei non voleva più saperne, lui non si rassegnava, al punto da minacciare il suicidio e da scrivere un biglietto trovato nell’auto e indirizzato ai genitori chiedendo perdono per il suo gesto.
Poi, l’ultimo tentativo di riconciliazione, finito però in tragedia.
Già, ma perché si è reso necessario tranquillizzare la comunità di Bagno a Ripoli?
E’ stata la reazione di tutti, quella di pensare immediatamente al Mostro di Firenze, tornato a colpire proprio lì , in quelle colline “addolcite” dal sangue di tante vittime…
Chissà se qualcuno si è chiesto come mai, a tanti anni di distanza, e con sentenze ormai definitive, la gente reagisce in questo modo?
Non se ne deduce forse che la convinzione collettiva è quella che il Mostro è ancora vivo e a piede libero?
E se fosse qualcosa di più di una semplice convinzione, se le persone di Bagno a Ripoli, avessero invece fondati motivi per spaventarsi?
Proviamo a riflettere su alcuni elementi apparentemente scollegati tra di loro, ma che se osservati sotto una diversa luce, potrebbero evidenziare un ipotetico quadro non poco inquietante.
Intanto per coloro che seguono da sempre questa terrificante pagina della nostra cronaca nera, Bagno a Ripoli non è un luogo per così’ dire al di sopra di ogni sospetto.
Infatti, in circa quarant’anni di indagini, molti illustri esperti impegnai in questo caso giudiziario, hanno ipotizzato che il Mostro vivesse o comunque disponesse di una casa situata in questo paese.
In particolare il noto criminologo Francesco Bruno, nel suo trattato “Analisi di un Mostro”, ha tracciato le coordinate precise che gli hanno consentito, non di ipotizzare, ma di affermare con certezza, che il Mostro lo si doveva cercare a Bagno a Ripoli.
Casualità?.... Forse…ma non è la sola.
Tra i tanti sospettati, ce ne è uno ancora in vita, il quale quando si cominciò a parlare di Pacciani, come possibile “Mostro”, aveva una società di pellami e accessori, la cui sede legale era proprio a Bagno a Ripoli, dove appunto il sospettato ha effettivamente un punto d’appoggio.
E proprio a Bagno a Ripoli, nel 2006 il sospettato fu “attenzionato” su delega della Magistratura, e un pomeriggio fu visto addirittura con dei “feticci” allestire il necessario per la celebrazione di un non meglio precisato rito, cui avrebbero dovuto partecipare tre illustri personaggi provenienti da Roma…
Già, avrebbero, in quanto qualcuno li avvertì e fu avvertito anche il sospettato e la “serata” andò per così dire a monte…
Ora, se analizziamo queste coincidenze, benché strane come tali, possiamo anche immaginare che la gente del posto abbia avuto una reazione di panico, non solo per lontani ricordi di coppie ammazzate, ma forse in quel paese si sa quello che ancora nessuno ha avuto il coraggio di denunciare.
E’ noto che nelle vicende del Mostro di Firenze e del caso Narducci, si dia per scontata una componente esoterica, come anche nella sentenza definitiva a carico dei cosiddetti “compagni di merenda” fu accertato che le parti anatomiche asportate venivano vendute a qualcuno interessato per un utilizzo rituale.
E va anche detto che questi “cimeli” non si distruggono, non è facile disfarsene e restano eterni, passando in “eredità” di mano in mano, di custode in custode.
Ora, il giorno precedente a questo duplice delitto, si è appreso di una sentenza emessa dalla Corte di Cassazione, una sentenza che potrebbe avere scatenato l’ira e la vendetta di qualcuno, magari proprio di colui che fu visto nel 2006 a Bagno a Ripoli in possesso dei feticci…
A questo punto, potrebbe essersi reso urgente e necessario un” rito” che in qualche modo, direttamente o per induzione provocasse un delitto riconducibile, sia pure apparentemente, ai delitti del Mostro, ma con qualche caratteristica capace di farci ricordare anche il medico di Perugia, Francesco Narducci.
Certo la paura di affrontare un processo fuori da Firenze, e dove non si può far valere alcun ricatto, induce a tentare il tutto per tutto, e dunque perché non procurarsi una qualche protezione di quella stessa “Divinità” cui tanti sacrifici furono offerti?
Nei Blog molti già parlano di “codici” presenti in questo delitto, e a dire il vero, già dai nomi delle povere vittime verrebbe da pensare al bisogno di qualcuno di difendersi dalla Giustizia.
Come anche analizzando la numerologia del delitto stesso, l’età delle vittime, il giorno del massacro, l’ora presunta e tanti altri elementi, volendo vi si riconoscono i parametri della schola esoterica più comunemente denominata “Rosa Rossa”.
Ed è strano anche il fatto che a trovare i due cadaveri sia stato un amante dl motocross a bordo della sua “belva”, proprio come lo era Narducci, quando negli anni del Mostro, in compagnia di un nobile amico scorrazzava con la sua moto su e giù per quelle colline…
E neanche a farlo apposta, i Carabinieri sembra abbiano rinvenuto nell’auto del ragazzo un biglietto, in cui il poveretto, disperato, chiedeva perdono ai genitori per quel gesto estremo …
Proprio come il biglietto che fu ritrovato nella casa di Francesco Narducci dopo la sua scomparsa e la sua morte…
E veniamo alla dinamica del delitto in sé.
A quanto se ne sa, i due ex fidanzati si incontrano, qualcuno dice per un tentativo di riconciliazione, ma è pur vero che si ritroveranno i regali, dunque vi era l’intenzione di restituirseli, come si usava un tempo quando ci si lasciava.
Ma c’è il coltello, fatto che indurrebbe a pensare che o l’omicidio o il suicidio, erano premeditati.
Perché lei, che già si sentiva perseguitata dalle insistenze del suo ex, pedinata, minacciata, accetta di salire in macchina con uno che poteva perdere la testa e quando ha visto che si dirigeva verso il bosco, non è scappata, prima che si consumasse la tragedia?
E lui, è plausibile che abbia avuto il sangue freddo al punto da infliggersi ben tre coltellate fino a morire sgozzato?
Badate che il coltello non è una pistola, darsi una coltellata è cosa ben diversa dallo spararsi un colpo alla tempia.
Senza contare che già dopo la prima coltellata, ammesso che si abbiano ancora le forze, scatta l’istinto di sopravvivenza, istinto che supera qualunque volontà di cinismo o masochismo…
A meno che, escludendo che non abbia partecipato al delitto una terza persona, quello che è stato considerato un “raptus di follia”, non sia stato invece un gesto “indotto” da un “controllo mentale” a distanza… poca distanza in questo caso se l’induzione partiva da Bagno a Ripoli.
Nella storia del Mostro siamo abituati ai “suicidi” più inverosimili, basti ricordare Elisabetta Ciabani, l’amica del cuore di Susanna Cambi, vittima del Mostro… Anche il delitto della Ciabani, trovata con un gran numero di coltellate sul ventre, fu archiviato come omicidio… e siccome nessuno l’aveva ammazzata, il colpevole non fu mai trovato…
Di certo possiamo affermare che già da un paio di settimane alla Magistratura competente risulta che qualcuno apprese da un “investigatore” che costui nel 2006 vide certe cose proprio in quel di Bagno a Ripoli…
L’INQUIETANTE DISCORDANZA SUI BOSSOLI REPERTATI SUI LUOGHI DEI DUPLICI DELITTI….
UNA VIA CHE PUO’ PORTARCI DRITTI DRITTI A GUARDARE IN FACCIA IL GIUSTIZIERE DELL’AMORE ALTRUI…
Tanto è vero che si è pensato che il Mostro dopo aver ucciso, portasse via con se una parte di bossoli, forse per inviarli insieme ai suoi numerosi messaggi, che recapitava sia agli inquirenti, sia facendoli ritrovare unitamente ai guanti, o anche nell’orto stesso di Pacciani.
Vediamo quanto risulta ufficialmente in atti.
Delitto: 14 Settembre 1974
Colpi sparati: NOVE
Bossoli ritrovati: CINQUE
Delitto: 6 Giugno 1981
Colpi sparati: OTTO
Bossoli ritrovati: CINQUE
Delitto: 22 Ottobre 1981
Colpi sparati: SETTE
Bossoli ritrovati: SETTE
Delitto: 19 Giugno 1982
Colpi sparati: SEI
Bossoli ritrovati: NOVE
Delitto: Settembre 1983
Colpi sparati: SETTE
Bossoli ritrovati: QUATTRO
Delitto: Luglio 1984
Colpi sparati: SEI
Bossoli ritrovati: CINQUE
Delitto: Settembre 1985
Colpi sparati: SETTE
Bossoli ritrovati: NOVE
DAL LIBRO EDITO DA SONZOGNO, NEL 1983, INTITOLATO: “IL MOSTRO DI FIRENZE” E IL CUI AUTORE E’ MARIO SPEZI, RIPORTIAMO FEDELMENTE:
CAPITOLO 1 – BORGO SAN LORENZO – SABATO 14 SETTEMBRE 1974 –
ALLE PAGINE 12 E 13 SI LEGGE:
…..”NEANCHE MEZZ’ORA DOPO, ARRIVANO DA FIRENZE IL SOSTITUTO PROCURATORE DELLA REPUBBLICA ANTONIO LA CAVA CON IL CAPITANO DEI CARABINIERI OLINTO DELL’AMICO E POI I GIORNALISTI E I FOTOGRAFI…..”
“L’INDAGINE SI PRESENTA MOLTO DIFFICILE. SUL LUOGO DEL DELITTO, IN MEZZO ALLA TERRA BAGNATA E A LUNGO CALPESTATA DAI CURIOSI PRIMA DELL’ARRIVO DEGLI INQUIRENTI DA FIRENZE, SI RACCOLGONO POCHI OGGETTI, NESSUN INDIZIO. CI SONO UNDICI BOSSOLI PIUTTOSTO VECCHI DI MARCA WINCHESTER PER UNA PISTOLA CALIBRO 22. C’E’ UN BOTTONE RIVESTITO DI CUOIO DEL TIPO CHE SI APPLICA ALLE GIACCHE SPORTIVE CHE PORTANO I CACCIATORI. NIENTE ALTRO……”
CAPITOLO 2 – SCANDICCI – SABATO 6 GIUGNO 1981 –
ALLE PAGINE 27 E 28 SI LEGGE:
“….ATTORNO ALL’AUTO DI GIANNI IL COMMISSARIO DELLA SQUADRA MOBILE SANDRO FEDERICO, IL COLONNELLO DELL’AMICO, IL GIOVANE SOSTITUTO PROCURATORE DELLA REPUBBLICA ADOLFO IZZO SI INTERROGANO E CHIEDONO RISPOSTE AI MUTI ELEMENTI DELLA SCENA DEL DELITTO.
SUL TERRENO LA “SCIENTIFICA” TROVA UNDICI BOSSOLI, LO STESSO NUMERO RACCOLTO SUL CAMPO DI SAGGINALE. ANCHE QUESTI SONO DI UNA RIVOLTELLA CALIBRO 22….”
“…..A PARTE GLI UNDICI BOSSOLI DI PISTOLA CALIBRO 22, LA PIU’ COMUNE, L’ASSASSINO NON HA LASCIATO ALCUN INDIZIO….”
CAPITOLO 4 – CALENZANO – GIOVEDI’ 22 OTTOBRE 1981 –
A PAGINA 60 SI LEGGE:
“…IL CAPO DELLA “SCIENTIFICA” CASTIGLIONE RACCOGLIE SUL TERRENO NOVE BOSSOLI WINCHESTER. ALTRI DUE SONO SUL PAVIMENTO DELL’AUTO . SUI FONDELLI I DUE SEGNI A MEZZALUNA, QUASI DUE UNGHIATE CHE SONO ANCHE SUGLI ALTRI 22 BOSSOLI RACCOLTI A BORGO SAN LORENZO E A SCANDICCI. L’ASSASSINO E’ SEMPRE LUI, IL MOSTRO.”
CAPITOLO 7 – BACCAIANO – SABATO 19 GIUGNO 1982 –
A PAGINA 108 SI LEGGE:
“PER GLI INVESTIGATORI E GLI INQUIRENTI NON POSSONO ESISTERE DUBBI CHE L’ASSASSINO E’ SEMPRE LO STESSO, IL MOSTRO. I BOSSOLI DELLA CALIBRO 22 LASCIATI SUL TERRENO SONO LA FIRMA SUL TERZO DUPLICE OMICIDIO CHE HA COMMESSO IN UN ANNO. CON QUELLO DI BORGO SAN LORENZO, LE VITTIME SONO ORMAI OTTO ….”
LEGGENDO LA NAZIONE DEL 21 GIUGNO 1982, E’ SEMPRE MARIO SPEZI CHE SCRIVE E FIRMA:
“…MANCA LA PERIZIA BALISTICA SUGLI UNDICI PROIETTILI
ESPLOSI SABATO NOTTE…MA ANCHE QUESTO NECESSARIO ESAME SEMBRA SOLO UNA FORMALITA’.”
Ora, evitando inutili approfondimenti o interpretazioni, è evidente che l’autore di queste dichiarazioni, chiama in causa magistrati, investigatori, la “scientifica”, i quali oltre che essere presenti avrebbero materialmente svolto le operazioni di raccolta e custodia dei reperti, ben numerati, davanti ad un testimone oculare che fu il primo a scrivere un libro d’inchiesta, quando ancora il Mostro uccideva.
Va anche detto che in questo libro vi sono contenuti fatti gravissimi, descritti con dovizia di particolari, e sui quali non si può soprassedere come se vi fossero vittime di serie A e vittime di serie B, atteso che, ripeto, si tratta dei primi delitti, che da quanto si sa, possono considerarsi “archiviati”. E dunque quanto viene dettagliatamente esposto dall’autore del libro, assume una fondamentale rilevanza anche nella speranza di poter dare una risposta a quanto fino ad oggi non è stato possibile, grazie ad un testimone oculare, che pur avendo pubblicato cose di tale importanza, evidentemente non fu letto attentamente.
E non sono poche le osservazioni che viene spontaneo fare, specie quando sottolinea quale principale analogia tra questi delitti, il fatto che siano stati repertati sul posto, sempre lo stesso numero di bossoli, al punto da considerare tale elemento come la firma del Mostro.
Ora è impensabile che le autorità citate dall’autore e presenti alle operazioni di ricognizione, abbiano raccolto undici bossoli ad ogni delitto, e se ne siano persi la metà per la strada, e dunque che mistero si nasconde dietro circostanze tanto inquietanti?
Oltre al fatto che Mario Spezi, fa finalmente luce su un dubbio che ha impegnato gli inquirenti per molto tempo, specialmente il dottor Giuttari, nel sospettare che le pistole fossero due, e questo proprio in conseguenza del fatto che i conti non tornavano.
Spezi ripete più volte che il Mostro anche quando sparava ad esempio sette colpi, comunque finiva di scaricare completamente la pistola, magari sul corpo di uno dei cadaveri. E ci chiarisce che è sempre una stessa pistola a dieci colpi più l’undicesimo in canna.
Tutto questo, pensate, all’autore del libro era ben chiaro fin dal 1983, quando il Mostro avrebbe ancora ucciso la coppia dei tedeschi, poi Pia Rontini e Claudio Stefanacci, ed infine i due francesi, nella tenda.
Una analisi attenta del testo, potrebbe perfino farci trovare di fronte ad un quadro diverso da quanto si è sempre pensato, anche in considerazione dell’estrema esattezza con cui l’autore riferisce particolari inediti, mai emersi né in sede processuale, ne in alcun atto giudiziario.
Qualcuno vuole commentare questa circostanza e tentare di fornire una risposta?....
Io la mia l’ho già data…..
IL QUOTIDIANO “LA NAZIONE” DI IERI 20 APRILE 2009, RIPORTAVA IN CRONACA DI PERUGIA L’ARTICOLO CHE PUBBLICHIAMO QUI DI SEGUITO.
RITENIAMO CHE PARTIRE DA UN PUNTO DI RIFERIMEsNTO UFFICIALE CIRCA LO STATO ATTUALE DI QUESTA INCHIESTA, SIA UNA GARANZIA PER NON PERDERCI IN DISCUSSIONI ASTRATTE E INADEGUATE ALLA SERIETA’ DELLA VICENDA.
LA NAZIONE – 20 APRILE 2009
IL MOSTRO DI FIRENZE
Indagini sulla morte di Narducci
22 persone chiamate davanti al gup
Gli esperti di accusa, difesa e parte civile che hanno svolto le consulenze sulle cause della morte di Francesco Narducci e sulla compatibilità del cadavere ripescato al lago Trasimeno il 13 ottobre del 1985 con quello del gastroenterologo, saranno sentiti il 3 giugno prossimo, nell'ambito dell'udienza preliminare che vede imputate 22 persone per presunte irregolarità compiute in occasione del ritrovamento del cadavere del medico perugino.
Perugia, 20 aprile 2009 - Gli esperti di accusa, difesa e parte civile che hanno svolto le consulenze sulle cause della morte di Francesco Narducci e sulla compatibilità del cadavere ripescato al lago Trasimeno il 13 ottobre del 1985 con quello del gastroenterologo, saranno sentiti il 3 giugno prossimo, nell'ambito dell'udienza preliminare che vede imputate 22 persone per presunte irregolarità compiute in occasione del ritrovamento del cadavere del medico perugino.
Davanti al gup compariranno i consulenti del pm, il professor Giovanni Pierucci (che ha eseguito l'esame autoptico sul corpo di Narducci), il responsabile del Ris di Parma, colonnello Luciano Garofalo (autore della perizia antropometrica), e il medico legale Gabriella Carlesi. Per la difesa saranno sentiti Carlo Torre, Nello Balassino e Giuseppe Fortuni. Per la parte civile, infine, il professor Mauro Bacci e il dottor Massimo Ramadori.
Il gup ha anche respinto oggi l'eccezione di incompetenza territoriale che era stata avanzata dai legali di un altro degli imputati nel procedimento, il giornalista Mario Spezi. Tra le 22 persone per le quali il pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio anche familiari del gastroenterologo, pubblici ufficiali, appartenenti alle forze dell'ordine e altri soggetti. Nel fascicolo sono stati contestati a vario titolo 22 capi d'imputazione per reati quali falso, omissione d'atti d'ufficio, occultamento di cadavere e altri.
Tutti gli imputati hanno sempre respinto le accuse. La parte centrale dell'inchiesta riguarda una presunta associazione per delinquere della quale sarebbe stato promotore e organizzatore Ugo Narducci, padre del medico trovato morto. Il sodalizio avrebbe operato - secondo la ricostruzione accusatoria - dal giorno della scomparsa del gastroenterologo fino a dopo il luglio del 2004 per cercare di sviare gli accertamenti sulla morte. In particolare per evitare che si ipotizzasse un omicidio legato alle vicende del mostro di Firenze.
Secondo il pm Giuliano Mignini, Narducci sarebbe stato in qualche modo legato 'almeno' agli ultimi quattro duplici omicidi avvenuti in Toscana. I familiari di Narducci hanno sempre sostenuto, invece, che il medico era del tutto estraneo alle vicende del 'mostro di Firenze'.
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"Subito dopo che l'inchiesta sui delitti attribuiti al cosiddetto Mostro di Firenze, ha visto la clamorosa svolta, confermata dagli Inquirenti, circa l'esistenza di un movente esoterico riconducibile a "personaggi insospettabili", si sono verificati episodi misteriosi e tali da rendere inquieto l'operato stesso degli addetti ai lavori, spesso posti in condizioni di non serenità proprio nei passaggi più delicati dell'indagine. Gabriella Carlizzi, che già nel 1995 formulò l'ipotesi oggi accreditata dagli Inquirenti, subendo all'epoca addirittura una richiesta di custodia cautelare, scende in campo in prima persona, e si rivolge a tutte le Autorità dello Stato, a che ciascuno operi nell'ambito dei propri doveri-poteri.
Lo Stato non rispose a questo filmato, ma l'opinione pubblica siamo sicuri che si renderà sensibile a tutelare gli interessi che appartengono all'intera collettività.
Un fatto é certo che nel 1995 la signora Anna Maria Ragni denunciò un noto scrittore per essere lui il mostro di Firenze, e la denuncia fu presentata al PM dottor Canessa il 2 marzo di quell'anno. Otto giorni dopo, il denunciato davanti al Procuratore Capo dottor Vigna e al dottor Canessa, iniziava il verbale con queste parole: "Prendo atto di essere stato convocato, come Persona offesa...". "